Sabato 25 gennaio, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, suor Anna Maria Borghi ha presentato una riflessione sul tema della verginità cristiana come relazione d’amore e della vita consacrata come pro-vocazione alla pienezza dell’amore. Il cammino formativo proposto per questo anno giunge così alla terza tappa del suo percorso teologico
La verginità cristiana come relazione d’amore.
La vita consacrata: provocazione alla pienezza dell’amore
Il cammino formativo proposto per questo anno, Educare oggi all’amore cristiano, giunge alla terza tappa del suo percorso teologico.
Dopo l’appuntamento iniziale con don A. Fumagalli sul tema della relazione d’amore nella cultura contemporanea; il secondo incontro tenuto dalla Prof.sa L. Invernizzi ha fatto luce sulle figure di relazione d’amore nella Scrittura.
Sabato scorso, 25 gennaio 2025, suor Anna Maria Borghi si è soffermata sul tema della verginità cristiana come relazione d’amore e della vita consacrata come provocazione alla pienezza dell’amore.
Suor Anna Maria Borghi ha iniziato con una breve premessa sul tema della verginità nell’Antico Testamento. È stato subito precisato che si tratta di un tema “a bassa frequentazione” e sempre posto in relazione alla generazione.
“Nell’Antico Testamento, la verginità non è né positiva né negativa. Si tratta piuttosto di una precondizione alla generazione, cioè al rispondere al comando di Dio”, ha affermato suor Anna Maria Borghi.
La verginità davanti al Signore è spazio vuoto disponibile alla Sua azione straordinaria, ed è da piangersi quando non è compiuta nel generare vita.
Una volta percorso il tema della verginità nell’Antico Testamento, l’attenzione è passata ai testi del Nuovo dove questo tema sembra essere più frequentato, almeno esplicitamente.
A questo proposito, suor Anna Maria Borghi ha iniziato presentando le figure di Maria ed Elisabetta. La prima – non fertile – e la seconda – sterile – sono infatti due casi difficili, improbabili, di fecondità. È solo l’azione di Dio che può generare in loro.
Ci si è soffermati, inoltre, sul fatto che, dopo l’episodio dell’Annunciazione, la Scrittura non parla più di Maria in termini di verginità, ma la presenta sempre come “madre”.
“L’organo della verginità è l’orecchio del cuore e generare dall’ascolto è la vocazione del discepolo”, ha spiegato suor Anna Maria sottolineando come Maria includa tutti nella possibilità di generare il Figlio attraverso l’ascolto (Lc 8, 19-21).
La verginità è dunque condizione per farsi accoglienti a una rivelazione di Dio. In questa prospettiva, i testi del Nuovo Testamento ci parlano di verginità a partire da due verbi: “capire” e “conviene”.
Il verbo “capire” è qui inteso come l’atto di “lasciare spazio”. Gesù invita i suoi a capire, cioè a fare posto all’azione di Dio che sempre prende l’iniziativa. L’azione di Dio è dunque dono e nessuno può capire a partire solo dalle sue capacità.
L’iniziativa di Dio è dono e pro-vocazione: chiama una risposta. Si tratta, infatti, di scegliere qualcosa di buono, mettendo in secondo piano un altro bene. In questo senso va inteso il verbo “conviene” (Mt 19,10-12). Più precisamente, suor Anna Maria ha illustrato come “nel Vangelo secondo Matteo questo verbo torna quando c’è un bene che conviene venga messo da parte per accogliere un bene maggiore. La scelta per il Regno di Dio implica la possibilità di mettere in secondo piano un altro bene.”
Nei testi di Paolo, in particolare in 1Cor 7, emerge chiaramente la funzione rivelativa della verginità. Più precisamente, la verginità non è una scelta funzionale a qualcosa, ma un dono che rivela un bene sommo, il Regno di Dio. “La verginità è intesa nella sua funzione di dire l’agire dell’amore di Dio” ha spiegato suor Anna Maria, aggiungendo che “Paolo sottolinea a più riprese dimensione non sorgiva di questa verginità che, infatti, è un dono fatto da Dio al singolo per il bene personale e della comunità.”
È dunque importante rimanere nello stato della chiamata perché ciò che è prioritario è l’ascolto accogliente di Dio.
Per avviarsi alla conclusione, è stata presentata la vita di Gesù come fondamento della scelta del celibato. A questo proposito, suor Anna Maria ha sottolineato come il Vangelo presenti una vita totalmente ordinata al Padre: Gesù è rivolto al Padre nella totalità della sua vita, totalmente immerso nelle “cose del Padre” (Lc 2, 49). Le “cose del Padre” sono precisamente l’umanità nella quale Gesù si immerge, alla quale si sottomette. “Se vi sono solo due verbi per raccontare 30 anni della vita di Gesù, è perché ci vuole molto tempo per compiere questi due verbi: rimanere sottomesso e crescere”, ha precisato suor Anna Maria.
“Rimanere sottomesso” e “crescere” sono due verbi che indicano due movimenti diversi: scendere in profondità e procedere in avanti, come a dire che per crescere occorre stare sotto, come il seme nella terra.
Gesù sceglie di stare sotto la legge della crescita umana, si immerge nella necessità di essere amato, nella legge della gradualità con tutto ciò che implica e con una solidarietà ad oltranza.
Suor Anna Maria ha concluso riferendosi al Vangelo secondo Giovani per raccontare tre sfumature dell’amore « fino alla fine » di Gesù.
L’amore di Gesù prende nelle sue mani i piedi dei discepoli e si lascia amare da loro così come sono – o non sono – capaci (Gv 13, 1-5.12-15). Un amore maturo, infatti, è un amore che sa aprire le mani per ricevere e riconosce di avere le mani piene.
L’amore di Gesù ama i suoi e li ammette in una intimità che rimanda al Padre (Gv 15, 12-17). Un amore è maturo nella misura in cui arriva progressivamente in una intimità che poi si dischiude all’incontro con l’altro.
L’amore di Gesù invita la Maddalena ad andare ad annunciare ai fratelli che Dio ha stabilito con tutti una alleanza eterna (Gv 20,11-18). La sponsalità dichiarata per Israele è la vocazione di tutti. Il primo ad essersi dedicato totalmente a noi, ad aver sposato la nostra carne è Dio. “É maturo e pieno”, ha concluso suor Anna Maria, “l’amore che tenta di accordarsi a questa destinazione definitiva, piena e totale di Dio a noi.”