Sabato 2 novembre, presso la Basilica di San Carlo al Corso, Suor Grazia Papola ha guidato il secondo appuntamento biblico della proposta formativa di questo anno
Sotto un fulgido cielo e accompagnati dalla memoria di Tutti i Santi e dei cari defunti, sabato 2 novembre, circa 100 consacrati sono tornati nella Basilica di S. Carlo al Corso per ascoltare la Parola e lasciarsi provocare ancora da essa.
Suor Grazia Papola, ha guidato il secondo appuntamento del percorso biblico intitolato: “Elkana e Anna: sterilità e fecondità nel Signore”.
Suor Grazia ha introdotto all’ascolto del libro di Samuele con una attenzione, in particolare, a 1 Sam 1, 1-28. Prima ancora di addentrarsi nella meditazione, ha precisato che in Israele, la maternità è un tratto fondamentale nell’esistenza di una donna. “Fin dai primi capitoli della Genesi, esiste un legame tra la benedizione di Dio e la fecondità”, ha spiegato suor Grazia precisando come “questo contrasta con il fatto che le madri di Israele di cui spesso si parla, sono sterili”. Tale contrasto vuole ricordarci che il Popolo nasce non dalla forza dell’uomo, bensì dalla potenza di Dio che apre il grembo delle donne sterili: Sara, Rebecca, Rachele, Anna fino ad arrivare ad Elisabetta.
Chi dovrebbe generare è dunque aperto ad una esperienza di mortificante povertà. L’ascolto della Parola ci invita dunque a leggere nella sterilità un modo di stare dentro la realtà vivendo la relazione con Dio.
Posta questa premessa, suor Grazia si è soffermata sui sentimenti provati da Anna. Infatti, nonostante i racconti biblici spesso deludano chi vuole esplorare il mondo interiore dei personaggi, in questo caso il narratore non è reticente nel descrivere come Anna sceglie di abitare la sua condizione di sterilità.
Strutturato in due parti (1 Sam 1, 1-19 e 1 Sam 1, 19-28), il racconto rivela che la storia è costruita con una serie di tensioni tra l’iniziativa umana e quella divina. Meglio, emerge dal racconto come Anna agisce a motivo delle sue ragioni e come Dio assume le ragioni ed il desiderio di Anna e rende un compimento che non è altro da quello della donna, ma è anche molto di più.
Suor Grazia ha ripercorso la storia dei personaggi e ha sottolineato come, da un lato, il narratore presenta Peninnà come una donna molto feconda, dall’altro Anna come una donna sterile, “perché il Signore le aveva chiuso il grembo”. A Peninnà Elkanà offre le porzioni che le spettano a motivo dei figli donati. Ad Anna, invece, Elkanà offre una porzione del tutto gratuita. Agli occhi di Elkanà, Peninnà conta perché è feconda, mentre per Anna prova affetto profondo. Tuttavia, se è vero che le parole di Elkanà (v. 8) possono essere ascoltate come segno di affetto, è anche vero che esprimono una certa incomprensione. Elkanà vuole tranquillizzare Anna, ma non riesce ad ascoltare profondamente la sofferenza della moglie.
La vicenda di Anna, Peninnà ed Elkanà ci spiega come non basta generare figli per trovare compimento al desiderio di essere amati, e che la sterilità riguarda anche le relazioni e non solo i figli.
Suor Grazia si è soffermata sulla scelta di Anna di tacere di fronte alle offese subite. “Anna non mette in atto nessun gesto di violenza, né segue la via della gelosia che altri hanno percorso prima di lei. Tace e questo suo silenzio esprime il fatto che lei ha assunto la sua debolezza fino in fondo”, ha sottolineato suor Grazia.
Anna accoglie la sua povertà fino in fondo e, dentro questa accoglienza, rivela di nutrire speranza e desideri che appaiono impossibili. “In Anna”, ha affermato suor Grazia, “il desiderio di vita è prepotente ed è espresso davanti a Dio perché lei è convinta che solo Dio può colmare la sua attesa e non fraintende il suo dolore.”
Anna vorrebbe accogliere un figlio, ma prima di accogliere un figlio accoglie la sua condizione di dolore. È proprio dentro questo dolore che nasce in lei una preghiera di supplica, prima; e di lode, poi.
Anna sperimenta la morte e domanda la vita. Il suo dolore è fortissimo e il suo grido è silenzioso, nascosto agli uomini e conosciuto solo a Dio. A lui, infatti, Anna scioglie il cuore con una consegna totale. Anna riversa il suo animo senza nascondere nulla a Dio. “Con la sua scelta di tacere ed assumere la sua povertà fino in fondo, di sciogliere a Dio il suo cuore e gridare la sua supplica e la sua lode, Anna determina il futuro di Israele”, ha spiegato suor Grazia. Nei momenti cruciali della sua esistenza, infatti, il Popolo può avere un futuro se ci sono persone capaci di assumerne l’atteggiamento giusto.
La preghiera di Anna è un grido che si allarga e va oltre la sua famiglia. Anna prega per domandare un figlio, ma non lo trattiene per sé.
Avrebbe potuto farlo, considerato quanto è stata lunga l’attesa di riceverlo. Anna, invece, lo custodisce come dono ed è giustamente questa scelta a ricordarci che in una esistenza feconda, la relazione col Donatore conta più del Dono stesso. Anna vive col Signore una relazione fecondante e, dopo la preghiera passa dalla tristezza alla gioia, dall’amarezza alla pace. Non ha ancora ricevuto il dono richiesto, ma è certa che la sua preghiera è stata accolta. Come il ricordo dell’azione di Dio nella storia ha spinto Anna a pregare, così la fiducia in Lui trasfigura l’attesa. E, dopo lunga attesa, Anna riceve il dono di un figlio.
Il Cantico di Anna (1 Sam 2, 1-10) è una preghiera di lode profetica e politica. Nelle sue parole, Anna esce continuamente da sé: non loda per il figlio che è nato, ma per il bene che Dio compie nella storia di tutti. È come se nella sua preghiera, Anna avesse portato le sterilità di tutti e ora riuscisse ad accettare le modalità paradossali con cui Dio agisce nella storia. Il dono che Anna ha accolto nella sua povertà, le permette di vedere come Dio agisce. “In effetti, il vero dono è giustamente la capacità acuta di leggere la storia e di leggerla in profondità”, ha concluso suor Grazia. “Questo è il dono che Anna fa a noi e al quale siamo chiamati: il dono di guardare le celebrare come Dio si rende presente dentro la trama della storia.”