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Il secondo appuntamento del Corso di formazione per la Vita consacrata “Educare all’amore cristiano”, si è svolto sabato 19 ottobre, presso la sede della Facoltà teologica settentrionale. Don Aristide Fumagalli, docente in Teologia morale presso la stessa Facoltà, ha messo a fuoco il tema de “La relazione d’amore nella cultura contemporanea. Gli scenari complessi della rivoluzione sessuale”

Don Aristide FumagalliDon Aristide Fumagalli

Prosegue il cammino formativo proposto per questo anno e sabato scorso, 19 ottobre, Don Aristide Fumagalli ha aperto il primo incontro del percorso teologico. Prima di addentrarsi nell’argomento, egli ha chiarito il significato della parola “amore”. Trattandosi, infatti, di un termine oggi così “abusato” ed equivocato il Relatore ha scelto di partire dalla quadruplice distinzione di C. S. Lewis nel suo saggio “I quattro amori”: affetto, amicizia, eros, carità.

Ci si è soffermati, in particolare, sulla terza forma di relazione, amore come eros, espresso come desiderio dell’altro, “archetipo di amore per eccellenza” come lo definisce papa Benedetto XVI. È proprio questo tipo di relazione che oggi conosce continue trasformazioni, passando dallo stato “solido” dell’amore a quello di “amore liquido” e, infine all’“evaporazione dell’amore”, nell’aridità.

I vari passaggi, articolati sullo sfondo complesso della rivoluzione sessuale a partire dagli anni ’60, registrano il progressivo sganciarsi della relazione amorosa da strutture ritenute rigide e ristrette (dettate da vincoli naturali civili o religiosi), a favore di processi di fusione liberi dai legami vincolanti diventati paralleli o puramente accidentali. Dallo svincolamento dell’amore si passa alla pura relazione amorosa che non investe sulla continuità e sull’esclusività del rapporto, ma sul beneficio riscontrato, in una “parità dei conti nel dare e ricevere”. Si arriva ad una sorte di “amore democratizzato” che influisce nel modo di concepire il genere e tende a fondare la relazione sul principio del piacere.

A questo proposito, il Relatore ha richiamato un’espressione eloquente del noto sociologo Zygmunt Bauman: più che di relazioni si può parlare di connessioni in un’assenza di legami saldi e durevoli. L’immagine suggestiva che viene utilizzata per questa situazione delle attuali relazioni amorose è quella delle “stringhe slacciate”.

Tutto questo causa un affievolirsi del desiderio dell’altro, mentre “l’arte di amare” viene assorbita nella “tecnica edonistica” individuale. La domanda sul senso di una determinata azione viene, di conseguenza, relativizzata. La prevalenza di indagini scientifiche di carattere bio/psicofisico induce all’ulteriore superamento dell’eros inibito verso la sua radicale “liberazione” da utilitarismo come nell’aspetto ludico, o come nella “celebrazione del sensibile” di cui è esempio il Cantico dei Cantici.

D’altro canto – ha osservato il Relatore – se la “rivoluzione sessuale” ha liberato l’eros da condizioni repressive, ha portato anche alla perdita di significato, ridotto semplicemente a oggetto di consumo. Si parla oggi infatti sia di “marketizzazione dell’eros” che di “erotizzazione dell’economia”, laddove si ha una caricatura del desiderio sfruttata dall’economia per la promozione de prodotti.

Emblematica è la comunicazione digitale che facilita l’immediatezza e l’accessibilità di una prossimità virtuale che prevale su quella reale ma che, allo stesso tempo, la umilia. Questo scarto tra reale e virtuale ha sulla persona conseguenze sul piano affettivo, psicofisico e patologico. Inoltre, la moltiplicazione di incontri interpersonali possibili, occasionali e illimitati mediante connessioni on line, possono trasformare la ricerca affettiva in una pura ricerca della soddisfazione per sé che prevale sulla relazione con l’altro.

Ne risulta che il desiderio dell’eros diventa introverso, centralizzato non sul “tu” ma sull’io e, come ha sottolineato il Relatore, “Eros si trasforma in Narciso”. Il risultato di questo processo è il dissolvimento dell’eros stesso, il ritrarsi cioè, del desiderio inizialmente attratto dall’altro. Si assiste dunque ad una “astenia amorosa” dovuta alla mancanza del desiderio dell’altro, paradossalmente conseguente all’ ossessivo desiderio di un appagamento a prescindere dall’altro. La moltiplicazione degli stimoli che la cultura sessuale fomenta in questo campo, denota l’impossibilità, più o meno consapevole, di un appagamento psicofisico mai sufficiente per l’essere umano. Esso appartiene infatti ad un piano più profondo, che va oltre queste espressioni incapaci di colmare l’assenza della gioia spirituale. In maniera simile, il desiderio erotico implode su sé stesso se non è integrato con l’amore per gli altri.

Utilizzando l’analogia della vite e dei tralci, il Relatore ha interpretato le varie dinamiche di fusione come fattori di devitalizzazione delle relazioni di amore come tralci rinsecchiti perché privi di linfa vitale. Come riscoprirle? – ci si interroga. Nello scenario evangelico, è proprio di questa analogia che Cristo si serve per offrire ai discepoli il suo insegnamento su come dare vita nella relazione d’amore: «Come il tralcio non può far frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». (Gv, 15, 5) Questo versetto cruciale del Vangelo secondo Giovanni potrebbe essere letto anche “senza di me non potete amare”.

Questa Notizia cristiana, ha affermato ancora il Relatore, è la terapia rispetto alle varie patologie amorose. L’amore come eros – che di per sé è proiettato alla tensione verso l’altro – ha bisogno della forma agapica dell’amore per raggiungere l’altro nel dono di sé, non per preservare la sua vita, ma perché l’altro lo riceva (cfr Gv 10,10). Pur nella sua tendenziale bramosia, nella prossimità dell’altro, l’eros cercherà sempre di più ad esserci per lui, e nel suo donarsi, a renderlo felice, consentendo così all’agape di inserirsi e integrare la relazione di reciprocità tra l’amore ricevuto e donato.

Ciò che qualifica l’amore cristiano – ha sottolineato il Relatore – è l’intreccio tra eros e agape, cioè tra il desiderio dell’altro e il dono di sé. Non si tratta dunque dell’amore veicolato tra i cristiani, ma dell’amore che in Cristo ha la sua fonte. Solo rimanendo unito alla vite, l’amore, anche quello del desiderio innamorato, porta frutto. È così che il frutto diventa annuncio salvifico.

Le parole del profeta Amos alludono ad una fame che verrà, quella della Parola di Dio, e del Suo amore che salva (cfr Amos 8,11). L’amore di Cristo, infatti, è insieme eros (desiderio di avere l’altro per sé, Lc 22, 15) e agape o dono di sé (Gv 15,13). Ed è giustamente questo amore che ogni cristiano (celibe o no) è chiamato ad annunciare in un’unica vocazione: vivere amando – per grazia – come Cristo ha amato (Gv 15,9). Questo è ciò che rende credibile la testimonianza cristiana nella duplice modalità di amare: quella del celibato e quello della vita matrimoniale. In entrambe, infatti, l’amore di Cristo si rende possibile e attraente mediante il dono dello Spirito Santo (Gv 12,20). Tale attrazione, ha concluso don Aristide, è presente e già in atto oggi, deve essere coltivata come il buon grano in mezzo alla zizzania. Non si tratta tanto di concentrarsi solo su essa, quanto piuttosto di rimanere orientati e orientarsi al Signore per conformarsi a Lui. Come viene auspicato nell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia:

«C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa. (..) Contemplare la pienezza (di questa comunione) che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo (..) per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti. (..) Continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa.» (AL 325)