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Nel Salone delle Conferenze dell’Arcivescovado, l’Arcivescovo Mario Delpini e il Vicario episcopale Monsignor Walter Magni, incontrano i Superiori/e Maggiori e Provinciali, residenti in diocesi, degli Istituti Religiosi e Secolari

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Lo scorso 5 febbraio 2024, prima della Celebrazione Eucaristica in Duomo in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Vita consacrata, l’Arcivescovo Mario Delpini e il vicario episcopale di settore, monsignor Walter Magni, hanno incontrato nel Salone delle conferenze dell’Arcivescovado una quarantina di responsabili di Istituti, tra cui generali e provinciali. La discussione si è soffermata, in modo particolare, sul ruolo della Vita consacrata, sulla sua missione e il suo configurarsi nella Chiesa locale.

L’Arcivescovo ha aperto l’incontro esprimendo gratitudine a monsignor Magni per l’iniziativa e per l’attività che sta avviando a favore del suo Vicariato. In particolare, l’Arcivescovo ha sottolineato come “non sia soltanto una cordialità il realizzare visite in case e incontri, ma sia una scelta per riflettere su questo tempo, per leggerlo in profondità ed avviare la Vita Consacrata su piste ispirate, nuove.”

 

La Visita ad Limina

Successivamente, l’Arcivescovo ha illustrato alcuni aspetti della Visita ad Limina dei Vescovi lombardi appena conclusa. In particolare, ha precisato che è stato un tempo privilegiato per l’ascolto reciproco.

Durante la Visita è stato sottolineato, inter alia, l’immenso bene che la Vita Consacrata ha offerto nelle Chiese di Lombardia. Sono dunque intervenute altre problematiche come, per esempio, la riduzione del numero, l’innalzamento dell’età, la nascita di nuove forme di Vita Consacrata diffuse anche in Lombardia, e la crescita del numero delle consacrate e dei consacrati provenienti da paesi extraeuropei.

Si è inoltre discusso della vita degli Istituti. Più precisamente, ci si è chiesti come mai alcuni sono fiorenti e accolgono un certo numero di giovani che desiderano consacrarsi, mentre altri vanno esaurendosi.

A questo proposito, suor Simona Brambilla, religiosa dell’Istituto della Consolata e Segretaria di questo Dicastero, ha messo in evidenza alcuni aspetti interessanti. Prima di tutto, ha sottolineato come la qualità della formazione è un contributo alla vivacità della Vita Consacrata e ha ricordato l’importanza dell’apertura alla missione. Quando un istituto è preoccupato per sé, infatti, rischia di esaurirsi, di spegnersi, rinchiudersi sui propri problemi. Al contrario, l’apertura alla missione inserisce una vivacità e una possibile attrattiva per ragazzi e ragazze orientati a tale forma di vita.

Il tema della formazione è legato a quello del discernimento, molto caro anche a papa Francesco.

Secondo suor Simona Brambilla, la diminuzione del numero potrebbe essere accolta come motivo di depressione, di risentimento o di tristezza, ma lo Spirito evangelico dà importanza all’essere piccoli, al seme che muore, alla piccolezza come categoria del Vangelo.

 

La Vita Consacrata come “dono dello Spirito”

Per quanto riguarda il tema della Vita Consacrata come dono dello Spirito, l’Arcivescovo ha sottolineato che questo è al cuore della riflessione. Spesso i discorsi tornano su alcuni argomenti che logorano senza trovare motivi di gioia e di slancio. Si parla di numeri, delle età, degli immobili degli Istituti e della necessità di un ripensamento nella loro gestione. “Tutto questo è necessario, ma rischia di far perdere di inaridire i discorsi e farci perdere di vista il dono dello Spirito”, ha dichiarato l’Arcivescovo.

La Vita Consacrata deve essere interpretata e vissuta in tanti o in pochi, da giovani o da vecchi, da sani o da malati, da italiani o da gente che proviene da altri paesi, ma soprattutto come dono che lo Spirito fa alla Chiesa, il dono dell’essere un cuor solo e un’anima sola. Gli uomini e le donne di Vita Consacrata sono presenti nella Chiesa come una profezia, come una parola da parte di Dio che annuncia il Regno e testimonia di aver scelto la parte migliore, secondo l’espressione che Gesù rivolge Maria di Betania. In altre parole, di aver scelto la cosa più bella, cioè il dedicarsi radicalmente e totalmente alla consacrazione, allo stare ai piedi di Gesù per ascoltarlo.

L’Arcivescovo ha posto una domanda: “Come questi princìpi, assolutamente generali e che condividiamo sempre, possono essere vissuti e tradotti in una prassi riconoscibile? O meglio, i consacrati – che dovrebbero essere profezia del Regno, in particolare, coloro che vivono in comunità – sono segno mediante l’essere un cuor solo e un’anima sola nella condivisione della vita?”.

Ha continuato dicendo che gli è capitato spesso di chiedersi come pregano i consacrati, per quali intenzioni, come da questa preghiera traggono gioia e forza per affrontare la giornata, e come insegnano a pregare. Questa consacrazione fa della totale appartenenza a Gesù la sostanza della Vita Consacrata.

Nella riflessione è emerso un interrogativo: come fare in modo che tutto questa si riconosca?

“Mi piacerebbe” ha dichiarato l’Arcivescovo, “che la presenza della Vita Consacrata in una Chiesa locale diventasse un motivo per vivere una preghiera particolare. Un’idea che mi è venuta è quella che nell’apostolato della preghiera (anche definito come la “Rete mondiale di preghiera del Papa”), si affidi una intenzione ogni mese e l’intenzione dei Vescovi. Non so se voi usate questo modo di offerta della giornata, come usavamo in Seminario una volta alla settimana e in molte comunità.”

L’Arcivescovo ha voluto raccomandare il tema di una comunione spirituale prima ancora che una comunione operativa apostolica. La Vita Consacrata è anzitutto una comunione spirituale, la preghiera per la Parrocchia in cui siamo presenti o per la Comunità pastorale o il Decanato è una testimonianza che dimostra l’appartenenza alla realtà locale in cui noi siamo attraverso l’incarnazione quotidiana operativa.

Durante l’incontro si è trattato anche il tema del Rito Ambrosiano. A questo proposito, l’Arcivescovo ha sottolineato che sposare il Rito Ambrosiano è un modo di essere dentro la Chiesa in cui si abita.

 

Chiesa dalle genti

La riflessione si è poi concentrata sul tema della Vita Consacrata come contributo per costruire la Chiesa dalle genti. Si constata infatti la provenienza di molte consacrate da altri paesi e altre Chiese, talvolta anche molto distanti.

La Vita Consacrata in se stessa rappresenta questa immagine di una “Chiesa dalle genti”, cioè di una Chiesa che non è uniforme, che non parla soltanto il dialetto milanese, ma porta qui persone abituate ad altre lingue, ad altri costumi, ad un altro modo di essere Chiesa, ad un altro modo di vivere la celebrazione e la preghiera. L’Arcivescovo ha sottolineato come il fenomeno delle migrazioni sia uno dei principi più importanti del cambiamento della nostra società e come lo stesso titolo “Chiesa dalle genti” traduce il desiderio di costruire la Chiesa secondo il dono dello Spirito.

C’è il rischio che la presenza di Sorelle e Fratelli che vengono da altre parti del mondo sia funzionale all’opera, cioè che sia un aiuto per gli Istituti che hanno bisogno di giovani forze per l’accompagnamento delle loro opere. Si rischia così di non mettere in evidenza il contributo che le persone che vengono da altri paesi possono dare all’edificazione della Chiesa dalle genti.

È bene domandarsi in che modo costruiamo la Chiesa dalle genti e quale è la Chiesa in cui tutte le genti sentono di essere un’unica Chiesa? Si è detto che, se è vero come è vero che sono stati fatti passi avanti in questa direzione; è anche vero che si potrebbe fare meglio con il contributo specifico delle donne e degli uomini che provengono da altri paesi e che ora sono presenti nel nostro territorio.

A questo proposito, l’Arcivescovo ha sottolineato l’importanza della costituzione e cura delle cappellanie etniche. Queste, infatti, pur avendo una struttura organizzativa e una modalità celebrativa proprie, non si pensano come un’isola di un altro paese, ma si trovano a pregare, a celebrare, fare festa e, allo stesso tempo, si inseriscono nelle Parrocchie e nel territorio dove vivono.

Il lavoro del Gruppo Barnaba e poi dell’Assemblea sinodale delle genti ha recensito la ricchezza delle presenze di Decanato per capire come essere missionari in questo territorio. Diventa sempre più necessario domandarsi come valorizzare il contributo di Sorelle e Fratelli consacrati che vengono da altre parti del mondo. Ciascuno dovrebbe chiedersi: quale è il contributo originale che la nostra comunità proveniente dall’Africa o dall’America o dall’Asia può offrire a questa terra, nello specifico al Decanato, alla Comunità pastorale, alla Parrocchia in cui viviamo?

In guisa di conclusione, l’Arcivescovo ha ripercorso i punti che sono stati al centro dell’incontro e, in particolare, la chiamata a costruire la “Chiesa dalle genti”, sottolineando ancora una volta l’importanza del contributo della Vita Consacrata. La presenza di Sorelle e Fratelli provenienti da paesi diversi che si vogliono bene, pregano, litigano, cercano di incontrarsi è infatti segno che il Signore ci convoca e ci rende un cuor solo e un’anima sola.

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