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Fra i 4 e i 14 anni i tre mezzi preferiti sono la tv, i videogame e il computer cioè internet. Una recente indagine ha rilevato che il 55% dei ragazzi intervistati, di età compresa fra i 7 e gli 11 anni, usa abitualmente il telefono cellulare e il 14% lo usa per mandare e ricevere sms. Inoltre i ragazzi dedicano 15 mila ore alla televisione e 11 mila ore allo studio. Quattro milioni di ragazzi fra i 3 e i 10 anni guardano la tv in media 2 ore e 40 minuti al giorno. Però non tutto è negativo, da buttare

di Sergio Borsi

Il patrono dei giornalisti e degli scrittori, San Francesco di Sales, è stato ricordato quest’anno a Milano con un convegno il 20 gennaio dedicato a un tema di grande attualità e delicatezza: il rapporto dei bambini e dei giovani con i mezzi di comunicazione.
Questione importante perché rappresenta uno dei percorsi educativi, coinvolge i genitori e gli educatori, perché chiama in causa anche gli ideatori dei programmi, i realizzatori. In una parola i comunicatori, fra i quali mettiamo, naturalmente, anche i giornalisti.
Questo tema, cioè il rapporto media-bambini, è stato scelto anche dal Papa che ha voluto dedicare la prossima (41.ma) Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (in programma per il prossimo maggio) a questo complesso rapporto.
Cominciamo, come si fa in questi casi, con qualche dato, per meglio conoscere il fenomeno in esame. Quando diciamo media e ragazzi ci riferiamo a una popolazione compresa fra i 4 e i 14 anni. I tre media preferiti sono la televisione, i videogame e il computer cioè internet. Una recente indagine ha rilevato che il 55% dei ragazzi intervistati, di età compresa fra i 7 e gli 11 anni, usa abitualmente il telefono cellulare e il 14% lo usa per mandare e ricevere sms.
Ci sono ancora due dati che meritano di essere considerati: i ragazzi dedicano 15 mila ore alla televisione e 11 mila ore allo studio. Quattro milioni di ragazzi fra i 3 e i 10 anni guardano la tv in media 2 ore e 40 minuti al giorno.
Quali sono i motivi di un rapporto così stretto con la televisione? Lo dicono gli stessi giovani intervistati: anzitutto capire il mondo, confrontare i diversi modelli di società. Con il passare degli anni, però, l’interesse per la tv diminuisce a favore di altri mezzi. Qualche altro giudizio: i telegiornali sono difficili da capire, spesso provocano paure e di fronte a episodi di violenza molti giovani cambiano canale oppure chiudono gli occhi per non vedere le scene. Pochissimi chiedono spiegazioni sui fatti che vedono in tv.
Come si vede da queste prime considerazioni c’è molto da fare. Probabilmente hanno scarsa conseguenza anche le molte norme deontologiche contenute in vari decaloghi approvati in questi anni a tutela dei minori. Qualche timido passo è stato fatto, ma il lavoro da fare è ancora moltissimo.
Con sfumature diverse ma con conclusioni coincidenti lo hanno ricordato al convegno i relatori che si sono succeduti: Marco Deriu (direttore de Il Resegone e docente alla Cattolica); Maria Luisa Sangiorgio, presidente del Comitato regionale delle comunicazioni della Lombardia; Rossana Sisti (Popotus-Avvenire); Antonio Tarzia (Il Giornalino e Gbaby); Roberta de Cicco (GT Ragazzi, Raitre) e Cristiana Nobili (Disney Channel).
Per consolarci diciamo spesso: «Forse l’isola dei più piccini è la più felice. Qui ci si può accontentare di buoni cartoni animati». Invece non sarei così sicuro. Un esempio: dicono i pubblicitari che il bambino consumatore non rende molto e i costi di una produzione fatta in casa non sono coperti. Quindi si va all’estero, in particolare in Giappone e negli Stati Uniti e si compra di tutto, spesso a scapito della qualità e dei modelli di vita che si presentano o propongono. In altri casi le televisioni occupano gli spazi riservati ai bambini e ai ragazzi con programmi per adulti. Così la frittata è fatta.
Però non tutto è negativo, da buttare. Esistono anche programmi di buona qualità, educativi, utili all’età evolutiva. Certamente. Diciamo che, soprattutto nei Paesi europei si sta sviluppando una vera e propria scuola per l’ideazione e realizzazione di programmi per ragazzi (qualche esempio ci è stato presentato da Filippo Magni). Le televisioni pubbliche, ad esempio, producono fiction e reality con bambini e ragazzi protagonisti, quindi fatti su misura, con linguaggi adatti. In Europa, Italia compresa ma Francia esclusa, si producono 14 telegiornali per ragazzi ogni giorno. Che significa selezionare le notizie, adeguare il linguaggio, controllare con severità le immagini, dare a ogni avvenimento una chiave di interpretazione.
Si capisce, quindi, perché è fondamentale il ruolo degli adulti ma soprattutto dei comunicatori. Una riflessione che ha sviluppato il cardinale Tettamanzi e che presentiamo a parte.

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