Una comunità giovane, quella della parrocchia romena dei Santi Nazaro, Gervaso, Protaso e Celso e Santa Parasceve di Milano, che ha vissuto il secondo lockdown con più profonda spiritualità. «Non possiamo dimenticare le basi della nostra umanità», spiega il parroco padre Ionut Radu
Sarà comunque diversa la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2021. E non solo per le regole che impongono di realizzare la maggior parte degli eventi a distanza, ma anche per quanto si è vissuto nell’horribilis 2020. E se il tema dell’Ottavario – «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto» (Gv 15, 5-9) – delinea un orizzonte di fiduciosa speranza da percorrere insieme, non vi è dubbio che le diverse comunità giungano a questo cruciale appuntamento annuale con una sensibilità spirituale segnata dalla pandemia. Affrontare psicologicamente e umanamente il secondo lockdown, infatti, è stato quasi più “difficile” rispetto al primo periodo, seppure sia aumentata la consapevolezza di quanto stava accadendo, e questo vale per tutte le fedi. Così come racconta padre Ionut Radu, parroco della parrocchia ortodossa romena dei Santi Martiri Nazaro, Gervaso, Protaso e Celso e Santa Parasceve di Milano.
Come avete vissuto gli ultimi mesi?
La nostra comunità, anche perché è molto giovane, ha interpretato questo periodo in una maniera che definirei assai consapevole. Se nel primo lockdown tutto appariva nuovo e inaspettato, abbiamo poi assistito, da una parte, a una maggior presa di coscienza, anche in relazione alle regole da seguire, e, dall’altra, a una sorta di approfondimento della spiritualità. Un atteggiamento spirituale vissuto nelle abitudini di ogni giorno, nel valore del gesto religioso in sé e del suo significato, ma anche come valore interiore. È emersa la possibilità di un rafforzamento della fede, del pensiero, dell’aiuto reciproco, propri del nostro essere e del vivere in modo cristiano. Se i gesti fisici che possiamo compiere sono stati scarsi, nello stesso tempo, il loro significato si è fatto molto più profondo. Ne abbiamo guadagnato tutti, nei rapporti umani e religiosi, nelle relazioni familiari, interpersonali e comunitarie.
Come è composta la vostra comunità?
Siamo la seconda parrocchia ortodossa romena in città, perché proprio a Milano, già 45 anni fa, aveva preso avvio la presenza della prima Comunità ortodossa romena in Italia, che esiste ancora nella zona delle Colonne di San Lorenzo, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria. Per il numero di fedeli e per le necessità della nostra realtà, si è creata, in seguito, una seconda parrocchia – la nostra – che esiste da quasi due anni. Attualmente, dallo scorso settembre, ci troviamo in una piccola chiesa molto antica nel territorio della parrocchia di Santa Cecilia, in zona Certosa-Portello. Abbiamo vissuto, invece, il primo periodo della pandemia nella Comunità Nocetum, in zona Corvetto, dove eravamo stati accolti. Come ho già detto, siamo una Chiesa giovane in tutti i sensi, per gli appartenenti, per chi vi partecipa e, diciamo così, per fondazione.
Il momento difficile che stiamo vivendo ci ha fatto comprendere che nessuno si salva da solo. Questa visione può aiutare anche il cammino ecumenico e facilitare l’unità dei cristiani?
Sicuramente. Da un lato, è un periodo nel quale si riflette di più su valori quali le radici della nostra la fede, l’identità propria di ciascuno, il discernimento dal punto di vista spirituale e sociale; dall’altro, abbiamo capito che non possiamo mai dimenticare le basi della nostra umanità in questo unico, grande mondo. Per questo, quando si scoprono o si ri-scoprono questi valori, si comprende a pieno anche l’unità fondante dell’uomo e il fatto che tutti – ortodossi, cattolici, ebrei, musulmani – abbiamo avuto gli stessi problemi. Credo che la pandemia abbia mostrato un mondo non solo molto connesso tecnologicamente, ma anche inscindibilmente legato dal fatto che è chiamato a misurarsi con gli stessi valori e problemi. È un buon punto di partenza e mi pare che si siano scoperte possibilità di incontro e di collaborazione inedite, che fino a questo momento sembravano difficili da realizzare. Pur non essendo molto spesso vicini concretamente, abbiamo aperto nuove strade.
In tale contesto, c’è qualche esperienza che vi ha coinvolto e che volete proseguire?
Durante il primo momento di lockdown, nella nostra parrocchia abbiamo promosso e realizzato incontri a distanza con teologi e docenti ortodossi di varie parti del mondo. Ogni sera, ogni settimana, così, abbiamo potuto ascoltare e dialogare con persone collegate dalla Romania come dall’America e da altri Paesi. Una cosa nuova, perché finora si pensava che solo la presenza fisica creasse la comunità; una scelta che vedo particolarmente significativa perché promette sviluppi e sinergie, possibilità di stringere legami, di fare conoscenze, di allargare gli orizzonti. E tutto questo farà certamente bene al dialogo tra le confessioni, le religioni, le culture, ma anche all’intera umanità.