Perché sono detti “pellegrini”?
Il termine “pellegrinaggio” deriva dalla parola latina peregrinus, a sua volta composta da per + ager (i campi). “Per i campi” va colui che non abita in città: é quindi straniero, cioè in qualche modo costretto a condizioni di civilizzazione ridotte; colui che non è a casa propria, ma è posto di fronte a un mondo che sfugge a ogni familiarità.
Nell’uso successivo della parola si perde questa connotazione di costrizione: il pellegrinaggio nasce da una scelta, da una precisa intenzione spirituale. Chi parte in pellegrinaggio non è costretto a essere, ma si fa straniero. E di questa particolare condizione si assume le fatiche e i rischi, sia interiori che materiali, in vista di obiettivi spirituali e penitenziali.
La ritrovata importanza dei percorsi a piedi
Fino a non molti decenni fa i principali pellegrinaggi si svolgevano a piedi. Oggi solo alcuni hanno mantenuto questa modalità, così tipica dell’epoca biblica e dei grandi pellegrinaggi medievali. I più famosi sono quelli di Santiago de Compostela in Spagna e di Częstochowa in Polonia. In questi luoghi i pellegrinaggi a piedi non si sono mai interrotti. In altre parti d’Europa, invece, questo tipo di pellegrinaggio ha ripreso vigore dopo molto tempo di abbandono: è il caso del cammino spirituale verso Loreto. Negli ultimi decenni i pellegrinaggi a piedi sono in costante espansione: aumenta il numero delle iniziative di questo tipo e si moltiplicano i partecipanti alle singole iniziative. Significativa in questo senso è stata la proliferazione di itinerari a piedi (e di sentieri attrezzati e ben segnalati) durante il grande Giubileo del Duemila.
Camminare, senza fretta di arrivare
Tra i vantaggi del viaggio e del pellegrinaggio a piedi vi è l’immersione nel territorio e l’indugiare sul percorso. Lo spiega bene il filosofo J.E.L. Rousseau: “Ho viaggiato a piedi soltanto ai miei bei tempi, e sempre con diletto. Ben presto i doveri, gli affari, un bagaglio da portare mi hanno costretto a fare il signore e a prendere la vettura […] e, mentre prima nei miei viaggi non sentivo che il piacere di andare, da allora ho sentito soltanto il piacere di arrivare”.
La testimonianza del Pellegrino russo
Chi compie un viaggio a piedi si trova a un certo punto a ritmare i pensieri sul proprio respiro, che a sua volta è in accordo con il succedersi dei passi sempre più affaticati. In un pellegrinaggio si può ritmare sul respiro l’invocazione del nome di Dio, superando fame e freddo, come mostra l’anonimo Racconto del pellegrino russo (sec. XIX): “A volte faccio più di sessanta verste in un giorno e non mi accorgo di andare; sento soltanto che sto recitando la preghiera. Quando il freddo mi coglie, recito la preghiera con maggiore attenzione e mi sento tutto riscaldato. Se la fame diventa troppo forte, invoco più spesso il nome di Gesù e mi dimentico di aver fame. Se mi sento malato e la schiena e le gambe mi dolgono, mi concentro sulla preghiera e non sento più il dolore”.