Formatrice del servizio per la catechesi
Il Direttorio 2020 per la catechesi tratta il tema della disabilità in quattro numeri, dal 269 al 272. Leggerli è come imitare il padre di famiglia che trae dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove (Mt 13,52 – rubo l’immagine dalla lettera che l’Arcivescovo Delpini ha da poco mandato alle catechiste): un vecchio abbigliato di novità e continuità e un nuovo con vesti antiche. Assumendo in metafora questo testo, i numeri citati del Direttorio appaiono davvero un tesoro per tutti, una fortuna di cui appropriarsi e godere.
Essi riprendono innanzitutto i diversi argomenti proposti dagli insegnamenti precedenti della Chiesa sulla disabilità: la visione cristiana del dolore e della vulnerabilità, la necessità di liberarsi dai pregiudizi culturali, la ricchezza che le persone disabili rappresentano per la comunità e il loro diritto ad essere protagoniste nella vita e nella Chiesa, le dinamiche inclusive e le didattiche adeguate, la preghiera e la liturgia, l’amministrazione dei sacramenti, i rapporti tra comunità e famiglie con disabilità, l’esigenza di offrire una formazione specifica ai catechisti. Lungo questa disamina il Direttorio sottolinea, approfondisce, amplia, rinnova le indicazioni precedenti, lasciando cadere ciò che appare superato e offrendo elementi di novità: sono queste le perle preziose da individuare nel tesoro che ci è offerto dalla Chiesa. Vediamole insieme.
La prima novità è nel titolo, che raggruppa i numeri di cui stiamo parlando: Catechesi con le persone con disabilità. Non “catechesi per”, come si è sempre detto. È un richiamo al concetto di missionarietà, che attraversa il Direttorio dall’inizio alla fine: tutti i cristiani sono missionari. Non si tratta di una scelta di poco conto, perché riconosce la corrispondenza biunivoca dell’evangelizzazione, diritto e dovere di ogni cristiano: mentre evangelizzo sono evangelizzata. Ne consegue che le persone disabili, non solo possono essere protagoniste di una vita buona, piena di significato, felice e realizzata, non solo rappresentano un’opportunità di crescita per la Chiesa, ma esse stesse sono evangelizzatrici a tutti gli effetti. Proviamo a entrare nel Direttorio usando questa chiave di lettura e incominciando da tre forme di evangelizzazione implicita che ci vengono offerte dalle persone con disabilità.
1) Riportando i concetti fondamentali della dottrina cristiana riguardo il nostro tema, il Direttorio, dopo aver ricordato che essi si radicano nello stesso comportamento di Dio e dopo aver richiamato il fatto che sul suo esempio la Chiesa è tenuta ad occuparsi delle persone disabili, riconoscendo in esse la speciale presenza del Signore, afferma che la disabilità aiuta a rileggere il dolore umano in chiave cristiana e rende possibile generare vita nuova mediante l’accoglienza e la solidarietà (269 e 270). Questo è il primo messaggio evangelico che ci viene offerto dai nostri fratelli disabili: la comprensione autentica delle loro situazioni, la condivisione e l’aiuto fattuale sono condizioni irrinunciabili perché la catechesi sia feconda e generativa. È bello che il Direttorio lo ribadisca.
2) La seconda forma di evangelizzazione potrebbe coincidere con la stigmatizzazione dei pregiudizi, retaggio di una concezione della vita narcisistica e utilitaristica, la quale vorrebbe dimenticare che la vulnerabilità appartiene all’essenza dell’uomo: “La disabilità (…) può suscitare paura (…), perché è un riferimento alla radicale situazione di fragilità di ognuno…” afferma il Direttorio al n. 270. Tutti conosciamo queste difficoltà e queste paure: è proprio della natura umana fuggire da ciò che viene percepito come deficit e dolore, ma è proprio della natura cristiana andare incontro alle situazioni difficili e sofferte per condividere e offrire aiuto. Per accostarsi alle persone disabili occorre liberarsi dalle convinzioni non suffragate dai fatti e ricomprendere la debolezza umana all’interno della logica dell’amore, l’unica che ci è concessa.
3) Una terza forma di evangelizzazione ci è offerta dalle persone con disabilità intellettive, cioè da coloro che sembrerebbero avere maggiori problemi ai fini della traditio, receptio, redditio. Ebbene, il Direttorio non presenta il loro stare nella comunità come un problema da risolvere, ma come qualcosa di positivo da riscoprire: queste persone infatti “vivono la relazione con Dio nell’immediatezza della loro intuizione.” (271). È un’affermazione carica di verità e di bellezza: si può arrivare a Dio mediante atti di fede semplice, in cui vita, comprensione, amore, vissuto liturgico e preghiera si unificano in profondità. È un tipo di intelligenza della fede e di orazione che potremmo e dovremmo tutti imparare da loro.
Cerchiamo altri gioielli nel nostro tesoro, rovistando tra gli arricchimenti, gli approfondimenti e le sottolineature che il Direttorio apporta ai documenti precedenti del Magistero. Ricordiamo a questo proposito l’inclusione delle persone con disabilità nei percorsi della catechesi (a), l’amministrazione dei sacramenti (b), l’utilizzo di pedagogie e didattiche adeguate (c), i rapporti tra comunità e famiglie (d).
a) Le Chiese locali, afferma il Direttorio, sono chiamate ad “aprirsi alla presenza ordinaria” (271) delle persone con disabilità. Risulta molto appropriato il nuovo aggettivo: è normale che le persone disabili frequentino regolarmente i percorsi catechistici; ciò che non è normale è la loro esclusione. L’accoglienza e il sostegno alla disabilità non devono essere compresi come percorsi virtuosi e facoltativi, ma come qualcosa di totalmente naturale per tutti i cristiani.
b) Nel dibattito catechesi/disabilità sono state più volte affrontate le problematiche che riguardano il vissuto liturgico e la disciplina sacramentaria. I documenti precedenti stabilivano l’obbligo di amministrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana a tutte le persone colpite da disabilità. Riporto la posizione del Direttorio a questo proposito, perché aggiunge qualcosa di molto importante:
Le persone con disabilità sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di disturbi gravi. I sacramenti sono doni di Dio e la liturgia, prima ancora di essere compresa razionalmente, chiede di essere vissuta: nessuno quindi può rifiutare i sacramenti alle persone con disabilità.(…) È perciò importante l’inclusione pastorale e il coinvolgimento nell’azione liturgica, specialmente quella domenicale. Le persone con disabilità possono realizzare la dimensione alta della fede, che comprende la vita sacramentale, la preghiera e l’annuncio della Parola. (272)
Pienezza della vita sacramentale, dimensione alta della fede, vissuto liturgico anteposto alla comprensione razionale: come si vede, il discorso è espresso con molta chiarezza e non ha bisogno di interpretazioni, ma soprattutto riguarda tutti i sacramenti, non soltanto quelli dell’Iniziazione cristiana.
c) Troviamo un elemento di novità anche all’interno del discorso sulle modalità con le quali svolgere la catechesi con le persone disabili. È necessario, afferma il Direttorio, accompagnare nella fede i nostri fratelli e le nostre sorelle con disabilità “in maniera personale e significativa”, attraverso nuovi canali di comunicazione e metodi didattici adatti a favorire l’incontro con Gesù, secondo le loro esigenze: allo scopo sono utili il linguaggio dell’esperienza e dei sensi, come pure una modalità linguistica di tipo narrativo (271). È interessante notare che qui non viene ripresa la proposta di predisporre dei percorsi differenziati (presente ad esempio nella nota dell’UCN del 2004), perché a livello pedagogico e didattico è superata dalle strategie inclusive, le quali suggeriscono programmazioni rivolte a tutti, partendo dalle esigenze delle persone disabili.
d) Quanto alle famiglie con disabilità, il Direttorio ribadisce la necessità di un accompagnamento che favorisca il loro pieno inserimento nella comunità e aggiunge la sollecitazione ad ammirarle per la loro testimonianza di apertura alla vita (271). Anziché guardate come destinatarie di aiuto e di umana pietà, queste famiglie vanno contemplate con ammirazione: è un bel capovolgimento di sguardo!
L’ultima forma di evangelizzazione da affidare alle persone con disabilità è formulata dal Direttorio come un auspicio: le persone disabili possono diventare delle catechiste e, con la loro testimonianza, trasmettere la fede in modo efficace (272). Questo è anche il nostro augurio: in effetti, la serenità di una persona privata di beni comunemente ritenuti indispensabili per una vita pienamente realizzata non può non costituire una testimonianza forte e capace di insegnare per attrazione una fede vera e provata.
Ovviamente il percorso della Chiesa non si ferma qui, ma chiede di continuare con noi. Oltre a mettere in pratica ciò che ci viene chiesto, siamo infatti chiamati a scoprire e sperimentare strade nuove: nel campo di una didattica della catechesi sempre più rispettosa dei bisogni delle persone disabili, ma nel contempo rivolta a tutti, ad esempio; oppure nello studio di una pedagogia dell’inclusione tendente a costruire personalità resilienti nella fede e capaci di rispettare i tempi di tutti; o ancora nell’impegno a creare percorsi di rete tra le componenti della comunità cristiana e civile, che sosterranno e arricchiranno il lavoro dei catechisti; o da ultimo nel continuare a sensibilizzare coloro che ci stanno intorno, non soltanto per sgretolare gli sguardi pietistici, assistenzialisti e paternalistici, ma anche per plasmare rapporti contemplativi e paritari, liberi e colmi di ammirazione da ambo le parti, rapporti capaci di mostrare le tante disabilità che accompagnano tutti noi, spesso più devastanti delle stesse malattie fisiche e mentali (ad esempio le carenze relazionali, la mancanza di speranza, l’egoismo pago di sé…). Si tratta di punti programmatici già assunti e positivamente sperimentati nella nostra diocesi, che chiedono di andare avanti e di essere potenziati.
“Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane” ha detto il Papa durante il convegno sulla disabilità del 2016: i nostri amici disabili con la loro fede rendono onore a queste parole; essi sono figli prediletti e testimoni di eccellenza, amati e amanti dell’unico Dio, nostri fratelli a tutti gli effetti. Se la comunità cristiana si dimenticasse di loro, rischierebbe di allontanare Dio dalla propria storia.