Presentazione del Convegno diocesano in programma sabato 21 maggio
In occasione del webinar di presentazione della Consulta diocesana dello scorso ottobre, dal titolo “Non più loro, ma NOI”, è emersa, da un sondaggio lanciato in diretta a tutti i partecipanti, che la parola migliore da legare al termine disabilità è reciprocità. Il significato di questo vocabolo è stato poi illustrato da Livio, Marco e Federica, le tre persone con disabilità che fanno parte della consulta: per loro reciprocità vuol dire “Tu dai una cosa a me, io do una cosa a te! Anch’io, persona con disabilità, posso darti qualcosa”.
Nel prossimo convegno diocesano di maggio (guarda la locandina) la Consulta desidera approfondire questo tema, legando al termine reciprocità un’altra parola, che richiama una dimensione fondamentale per la vita di ogni persona, ovvero l’amicizia. Il punto di arrivo, in una comunità, non è organizzare e realizzare delle azioni inclusive finalizzate a sé stesse, ma pensare ad un insieme di iniziative e proposte, il cui scopo di fondo è far crescere una rete di relazioni che si vestano sempre di più di quotidianità. A noi piace definire questi legami quotidiani amicizie. Occorre superare il pregiudizio, ancora molto presente, per cui si pensa che con una persona con disabilità sia possibile unicamente una relazione di aiuto e bisogna raccogliere invece l’avventura affascinante di un’amicizia che arricchisce moltissimo la vita. Questa affermazione non è retorica e sarà proprio l’ascolto delle testimonianze di alcuni vissuti, che scandiranno l’incontro, a confermarla.
Il convegno inizierà con l’intervento di Luca Moscatelli, che presenterà alcune provocazioni provenienti direttamente dalla Parola di Dio. Dopo un lungo momento dedicato all’ascolto delle testimonianze, i relatori Moira Sannipoli e Luca Frigerio raccoglieranno le tante suggestioni ed emozioni suscitate dai racconti e offriranno dei rimandi, che aiuteranno i partecipanti a gustare la bellezza di quanto udito, per coglierne il senso profondo, rimanerne contagiati e per questo desiderosi di mettersi in gioco.
Anche quest’anno la Consulta vuole presentare e condividere un sogno, tenendo tuttavia gli occhi ben aperti sulla realtà. Siamo consapevoli che il cammino che ci attende è lungo e irto di ostacoli, ma siamo anche convinti di essere sulla strada giusta, sulla quale occorre continuare a camminare, per cambiare una mentalità comune, che ancora si nutre di pregiudizi e stereotipi. Sono proprio le persone con disabilità con le loro famiglie a mostrarci il percorso.
Alessandro Trevisan, un ragazzo con disabilità, portatore di una ricchezza interiore enorme, che attraverso la sua scrittura emerge e affascina, parlando dell’amicizia, scrive: “Per me vivere l’amicizia non è stato mai semplice e soprattutto non lo è mai stato per gli altri. Per farvi capire il mio concetto di amicizia vi direi così. Avete presente quando siete seduti su un balcone e vedete un sacco di gente passare? Qualcuna vi saluta, qualcuna vi guarda in un certo modo, qualcuno vi spia o fa finta di non vedervi. Ecco, poi a un certo punto c’è qualcuno che si ferma. E poi ripassa e si ferma ancora e sale sul tuo balcone e inizia a raccontare di sé. E da li parte un viaggio, di scambi, racconti di quotidiana realtà, di pensieri e tu ti senti una persona che a sua volta ha qualcosa da dire, da esprimere; sai che anche tu puoi dare qualcosa e questo qualcosa sono le parole, sono io così come sono. Ognuno ha il suo modo di intendere l’amicizia, io ho capito cosa è per me e per la mia disabilità. Avere un amico va oltre avere dei familiari o degli operatori con cui si è instaurato un legame. Avere un amico è un qualcosa in più che non è simbiotico, o esclusivo, ma è speciale nel momento in cui vengono fatte delle confidenze e ci si racconta. È uno scambio reciproco. Ora voi penserete che sia scontato quello che vi sto dicendo, ma non lo è per me. Non lo è perché non è facile sedersi e andare oltre ai miei movimenti, ai miei gesti stereotipati e pensare che io capisca tutto. Beh credetemi, davvero non è scontato e lo vedo da come le persone si approcciano a me. Quindi per me avere qualcuno che va oltre la mia disabilità, è avere la certezza che sono un amico anche io per qualcuno, per ciò che penso, dico, sono”.
Pensiamo che queste parole, con le quali ci congediamo, siano una chiara indicazione per il nostro percorso.