Mons. Bressan commenta e puntualizza i lavori della prima parte della sessione del Consiglio pastorale diocesano dedicata al Sinodo minore
Presidente della Commissione di coordinamento Sinodo “Chiesa dalle genti”, Vicario episcopale Arcidiocesi di Milano
Riassumo il pomeriggio di ascolto e di confronto che abbiamo vissuto in tre osservazioni, tre compiti e sette puntualizzazioni.
Tre osservazioni
Il primo dato che ha impressionato tutti noi è stata la constatazione delle energie e della disponibilità che ogni territorio e ogni realità ecclesiale della Diocesi hanno manifestato verso il Sinodo minore. Si può leggere questo dato come una sorta di “miracolo”: l’indizione del Sinodo ha consentito al corpo ecclesiale di scoprire delle energie e delle risorse che nessuno di noi pensava avessimo.
Prima osservazione: tutte le sintesi delle zone hanno messo in luce che in ogni decanato c’è stato un momento di attivazione (con qualche eccezione nella zona prima), anche laddove sinora non si era riusciti a costituire il consiglio pastorale decanale. Se il frutto del Sinodo minore fosse già soltanto la capacità di attivare in ogni decanato un luogo in cui riuscire a leggere ed interpretare i segni delle trasformazioni che stiamo vivendo come Chiesa diocesana, sarebbe sicuramente un grande risultato!
Seconda osservazione: l’elenco delle disponibilità e degli impegni che si stanno assumendo in modo capillare per dare corpo al sinodo, anche questo è un dato che va riletto alla luce dell’attitudine contemplativa che il testo guida ci chiede di assumere. Ci troviamo dentro un corpo ecclesiale che sta reagendo in modo positivo, che sta entrando nel processo sinodale vivendo come un evento spirituale, di chiamata e di conversione personale ed ecclesiale.
Terza osservazione: le energie e le azioni messe in campo possono essere rilette, alla luce dell’esercizio contemplativo richiesto, come segni di quella dinamica di attrazione esercitato dalla croce di Cristo che tutti siamo invitati a riscoprire dentro il cambiamento culturale e sociale che le terre Ambrosiane stanno vivendo. Il Sinodo si rivela veramente come l’occasione per vedere la Chiesa mentre viene generata continuamente, in ogni epoca, dallo Spirito di Dio come corpo di Cristo. La radice teologica e spirituale del nostro lavoro pastorale davvero sta emergendo con chiarezza.
Tre compiti:
Dalle osservazioni sviluppate emergono con naturalezza i compiti (tre) che sono richiesti al Consiglio Pastorale Diocesano nel suo insieme e ad ogni singolo membro, perché il Sinodo possa raggiungere i suoi obiettivi.
Primo compito: occorre continuare ad affinare il processo di attrazione che abbiamo potuto contemplare nella terza osservazione. Perché il Sinodo riesca, occorre che il corpo ecclesiale riesca a vivere quella trasformazione interiore che gli consente di riconoscere in ogni persona immigrata un fratello. Passare dal termine “migranti” a quello di “fratelli” è una operazione linguistica che non può essere eseguita per comando o per trasformazioni burocratiche e/o organizzative. È frutto di esercizi di contemplazione: della croce di Cristo, del suo potere universale di attrazione, che ci rende un solo popolo e una sola famiglia. Questo è il grande dono che come Chiesa ambrosiana possiamo fare alla nostra società e alla nostra cultura: un corpo coeso e plasmato dalla contemplazione della croce, che di conseguenza sa guardare le persone con occhi che nessun altra persona e nessuna istituzione possiede.
Secondo compito: per questo motivo occorre che i membri del consiglio aiutino i livelli decanali a lavorare in modo attivo ed energico alla lettura del proprio territorio e dei suoi cambiamenti, alla luce della croce di Cristo. Perché insistiamo sulla lettura decanale e non sulla semplice consegna delle tante letture parrocchiali? Perché occorre che il decanato non sia semplicemente il luogo in cui si fa una veloce sintesi di quanto detto ai livelli inferiori. Occorre che il decanato divenga un laboratorio, un luogo in cui si interpretano i dati raccolti dalle varie parrocchie e dalle altre realtà ecclesiali e civili, favorendo così lo sviluppo di una lettura nuova, capace di riconoscere i segni dello Spirito che genera la Chiesa in quel luogo, dentro le trasformazioni. Se il Sinodo minore fosse l’occasione per la nascita di simili luoghi di comprensione del vissuto della Chiesa diocesana, ci troveremmo di fronte ad un regalo immenso e in parte insperato
Terzo compito: il lavoro sinodale non termina il primo aprile con la consegna del materiale alla commissione. I due consigli diocesani, pastorale e presbiterale, costituiscono l’assemblea sinodale in senso proprio. Ma nessuno immagina che debbano lavorare in modo isolato ed indipendente dal resto del corpo ecclesiale. Al contrario vi chiediamo di farvi portavoce, coinvolgendo e stimolando tutte le realtà ecclesiali a leggere i documenti che verranno prodotti e pubblicati sul sito diocesano, raccogliendo le osservazioni e le riflessioni sviluppate, e portandole nei luoghi di discernimento sinodale, cosicché sia tutto il corpo ecclesiale che sino al mese di novembre lavora per sviluppare una dinamica sinodale completa e coinvolgente.
Sette puntualizzazioni:
Infine, gli interventi che si sono susseguiti hanno acceso alcune domande alle quali è giusto rispondere attraverso queste puntualizzazioni.
- I tempi stretti. In parecchi hanno fatto notare che il ritmo del cammino sinodale è troppo accelerato, non permette una vera interiorizzazione. È possibile tuttavia una lettura diversa di questo ritmo accelerato: ci consente, dentro il clima culturale che viviamo, di tenere l’evento sinodale sempre in prima fila, al centro delle nostre attenzioni, evitando che altre urgenze lo facciano dimenticare. Tutti siamo consapevoli che il Sinodo riuscirà ad avviare processi e trasformazioni che ovviamente richiederanno molto più tempo di quanto duri il sinodo stesso.
- L’utilizzo delle tracce. Le tracce non sono state immaginate come un riassunto del testo guida. Al contrario, vogliono essere una sua animazione, un modo di viverlo non soltanto come processo di lettura e riflessione, ma come un processo di costruzione del corpo ecclesiale. Non si tratta di “riflettere su” qualcosa, ma di “comprendere con” qualcuno. Ecco perché la traccia fondamentale è la nota metodologica!
- Semplicità e difficoltà. È emersa una certa difficoltà nel comprendere le domande, alcuni passaggi del testo … ricordo che come ci insegnano i monaci, la semplicità è sempre al termine del processo di crescita e di maturazione, mai al suo inizio. Paradossalmente, la fatica che lamentiamo è un buon indizio della bontà del cammino avviato.
- L’utilità di termini come “meticciato”, “contaminazione”… questi termini vanno presi come strumenti che ci aiutano a comprendere la trasformazione dei legami tra di noi. Una trasformazione profonda, che ci tocca nelle dimensioni fondamentali della nostra identità, che ci chiede di metterci in gioco, che ci ferisce. Possiamo anche cambiare i termini, non la realità che significano. Non possiamo immaginare che la trasformazione che stiamo vivendo non abbia un prezzo, non ci costi nulla.
- Sinodo diocesano e sinodo dei giovani. Non c’è concorrenza tra i due sinodi. Quello diocesano si chiude quando inizierà il cammino di ricezione di quello celebrato a Roma. Sincronizzazione perfetta. In più saremo allenati e pronti a rimetterci in gioco in quel cammino sinodale.
- Chiesa dalle genti e identità ambrosiana. Non c’è contrapposizione tra le due realtà siamo chiamati a rimanere la Chiesa dei santi Ambrogio e Carlo, che affronta con lucidità e scioltezza questo momento di trasformazione, per giocare come una risorsa la propria tradizione, con la convinzione che lo Spirito farà nascere cose nuove.
- Cappellanie e parrocchie. Non c’è concorrenza tra questi due soggetti della pastorale diocesane: le cappellanie non sono ghetti che impediscono ai migranti l’integrazione nelle realtà parrocchiali. Al contrario, le cappellanie sono uno strumento dinamico che accompagna gli stranieri nel processo mai breve di radicamento dentro il nostro tessuto ecclesiale