Parere dell’Avvocato Generale circa la possibilità di stringere accordi e convenzioni a supporto dell’attività di oratorio e dell’attività scolastica svolte da enti ecclesiastici
Nelle ultime settimane alcune Parrocchie di questa Arcidiocesi han chiesto a questo Ufficio se è possibile, per una Parrocchia priva di “Ramo del Terzo Settore”, concludere una convenzione con un Ente locale che preveda un contributo per le attività per i ragazzi o per l’attività scolastica.
La Riforma del Terzo Settore
Con il termine “Riforma del Terzo Settore” si intende il complesso normativo composto dalla Legge 6 giugno 2016, n. 106, “Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, dal “Codice del Terzo Settore” (D. Lgs. 117/2017; d’ora in poi “CTS”) e dalla “Disciplina dell’Impresa Sociale” (D. Lgs. 112/2017; d’ora in poi “DIS”) con i relativi, numerosi, decreti attuativi.
Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono assoggettare le attività di interesse generale alla disciplina del CTS e della DIS (elencate all’art. 5 CTS e all’art. 2 DIS) attraverso un istituto comunemente chiamato dalla dottrina “Ramo del Terzo Settore” o “Ramo dell’Impresa Sociale”. È quanto previsto dall’art. 4 c. 3 CTS e dall’art. 1 c. 3 DIS:
«le norme del presente Decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5, nonché delle eventuali attività diverse di cui all’articolo 6 a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore».
La Riforma del Terzo Settore è ancora incompleta: non è infatti ancora in vigore gran parte del regime fiscale degli Enti del Terzo Settore (ETS), sospensivamente condizionato all’autorizzazione della Commissione europea, attesa ormai da quasi 7 anni.
Nessuna disposizione del complesso normativo previsto dalla Riforma del Terzo Settore ha abrogato le norme in vigore relative alla possibilità di convenzionamento degli enti ecclesiastici.
Circa la possibilità per gli enti pubblici di stringere accordi con persone giuridiche diverse dagli ETS si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 131/2020. Essa non esclude la liceità di forme di coinvolgimento di questi enti con strumenti e modalità differenti da quelli previsti dal CTS.
Pertanto, le forme di convenzionamento con enti diversi dagli ETS fino ad ora adottate (e che numerosi Comuni di questa Arcidiocesi continuano ad adottare) rimangono perfettamente lecite perché si basano su norme differenti dal CTS ancora in vigore.
Le Convenzioni che finanziano le attività estive
Le attività oratoriane sono tradizionalmente qualificate come “attività di religione e di culto”, ai sensi dell’art. 16 lett. a) della L. 222/1985 e non come “attività di interesse generale” ex art. 5 CTS.
Questo non ha impedito e non impedisce allo Stato, alle Regioni e agli enti locali il loro finanziamento.
Tali accordi hanno solide basi normative:
- La Legge n. 328 dell’8 novembre 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, all’art. 1, comma 4, statuisce che «gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali».
- La Legge Regionale 23 novembre 2001 n. 22 “Azioni di sostegno e valorizzazione della funzione sociale ed educativa svolta dalle parrocchie mediante gli oratori” riconosce il ruolo educativo – e i relativi diritti – alle Parrocchie, titolari dell’attività di oratorio e all’art. 1, comma 1 afferma che «La Regione riconosce, sulla base dei principi ispiratori che fanno riferimento alla sussidiarietà, alla cooperazione, alla partecipazione e al concorso per la costituzione di un sistema integrato a favore dell’area giovanile, la funzione educativa e sociale svolta dalle Parrocchie mediante l’oratorio, che, in stretto rapporto con le famiglie, costituisce uno dei soggetti sociali ed educativi della comunità locale per la promozione, l’accompagnamento ed il supporto alla crescita armonica dei minori, adolescenti e giovani, che vi accedono spontaneamente»;
- La successiva Legge n. 206 del 1 agosto 2003 “Disposizioni per il riconoscimento della funzione sociale svolta dagli oratori e dagli enti che svolgono attività similari e per la valorizzazione del loro ruolo” all’art. 1, comma 1, ha confermato, a livello nazionale, che «In conformità ai principi generali di cui al capo I della Legge 8 novembre 2000, n. 328, e a quanto previsto dalla legge 28 agosto 1997, n. 285, lo Stato riconosce e incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale, mediante le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, ferme restando le competenze delle regioni e degli enti locali in materia».
Non esistono, quindi, dubbi circa la liceità di accordi tra Comuni e Parrocchie per il sostegno delle attività estive parrocchiali.
Poiché si tratta di un contributo destinato all’attività, si dovrà dimostrare di spendere i fondi pubblici per le attività a cui son destinati (ad esempio, attraverso le buste paga dei lavoratori impiegati nelle attività o le ricevute di acquisto del materiale necessario). Non ha alcuna rilevanza il bilancio della singola attività (che, per ragioni di contabilità, difficilmente riesce a rendere evidenti tutte le spese sostenute dalla Parrocchia, relativamente specialmente ai “costi indiretti” come l’usura della struttura utilizzata o, in molti casi, le utenze). Né ha tantomeno rilevanza il bilancio dell’ente ecclesiastico.
Le Convenzioni che finanziano l’attività scolastica
Lo stesso ragionamento è valido per l’attività scolastica, a condizione che sia parificata e con alcune differenze.
L’attività scolastica, infatti, non è qualificabile come una di “religione o culto” ma come “attività diversa” ai sensi dell’art. 16 lett. b) della L. 222/1985.
In ogni caso, pur fiscalmente qualificata come “attività commerciale” svolta da un ente senza fine di lucro, è perfettamente lecita una convenzione di un ente locale a sostegno di una scuola parificata di qualsiasi grado di proprietà di un ente ecclesiastico.
Anche tali accordi hanno solide basi normative:
- la famiglia, prima e principale responsabile dell’educazione dei propri figli, ha diritto alla necessaria collaborazione da parte delle istituzioni pubbliche e private per espletare tale funzione educativa (artt. 29 e 30 Cost.).
- La L. n. 444 del 18 marzo 1968, che ha approvato l’ordinamento della scuola materna statale, ha riconosciuto l’attività delle scuole dell’infanzia non statali già esistenti al fine di garantire il diritto all’educazione a tutti i bambini in età prescolare.
- L’art. 1 della L. n. 62 del 10 marzo 2000, “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, ha sancito che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali e ha riconosciuto alle scuole paritarie private la piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico.
- Le scuole dell’infanzia paritarie gestite da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, enti senza fine di lucro disciplinati in via esclusiva dall’Accordo di Revisione del Concordato Lateranense (L. n. 121 del 25 marzo 1985) e dalla L. n. 222 del 20 maggio 1985, hanno origine popolare, hanno ottenuto la “parità scolastica” ai sensi della L. n. 62/2000 e svolgono un servizio educativo e scolastico che il co. 3 dell’art. 1 riconosce essere “pubblico”.
- L’art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 19 febbraio 2004, «La scuola dell’infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza il profilo educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria».
- La L.R. Lombardia n. 19 del 6 agosto 2007 stabilisce che
- «spetta altresì ai comuni, in relazione ai gradi inferiori dell’istruzione scolastica, lo svolgimento del servizio di trasporto e di assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli studenti con disabilità fisica, intellettiva o sensoriale» (art. 6);
- «la Regione, in conformità agli indirizzi del Consiglio regionale, riconoscendo la funzione sociale delle scuole dell’infanzia paritarie non comunali, ne sostiene l’attività mediante un proprio intervento finanziario integrativo rispetto a quello comunale e a qualsiasi altra forma di contribuzione prevista dalla normativa statale, regionale o da convenzione, al fine di contenere le rette a carico delle famiglie» (art. 7-ter).
Non esistono, quindi, dubbi circa la liceità di accordi tra Comuni e Parrocchie per il sostegno dell’attività di scuola paritaria con il fine di contenere le rette a carico delle famiglie.
Anche in questo caso, poiché si tratta di un contributo destinato all’attività, si dovrà dimostrare di spendere i fondi pubblici per le attività a cui son destinati (ad esempio, attraverso le buste paga dei lavoratori impiegati nelle attività o le ricevute di acquisto del materiale necessario). Non ha alcuna rilevanza il bilancio della singola attività (che, per ragioni di contabilità, difficilmente riesce a rendere evidenti tutte le spese sostenute dalla Parrocchia, relativamente specialmente ai “costi indiretti” come l’usura della struttura utilizzata o, in molti casi, le utenze). Né ha tantomeno rilevanza il bilancio dell’ente ecclesiastico.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, a parere di questo Ufficio, un ente locale, come un Comune, può certamente concludere, con le modalità descritte, accordi per il sostegno delle attività estive parrocchiali o di quella di scuola parificata.