"Inoltre quel popolo (di Bosto) suole procedere supplicante all’oratorio di Sant’Albino situato nel territorio di Capolago il primo giorno di marzo e lì ogni famiglia consegna al parroco (di Capolago) un obolo e mezzo, con l’onere a carico del parroco (di Bosto) di offrire a sua volta due ceri di sei once." (Visita pastorale, Pieve di Varese, vol. 40, fol. 215, Bosto, 1755 del Card. Pozzobonelli)
La planimetria unita a queste note riproduce un dettaglio di un documento conservato nel fondo mappe dell’Archivio Diocesano. Si tratta di una raffigurazione ambientale elaborata attorno al 1580 (documento che apparteneva originariamente al vol. 84, Pieve di Varese, anno 1581) come strumento che serviva da guida per i visitatori che da Milano raggiungevano le comunità della Pieve, organizzata attorno al nobile Borgo di Varese. Il primo che ne fece uso fu probabilmente Mons. Antonio Seneca, di Norcia, entrato nel clero milanese nella famiglia degli Oblati al servizio dell’arcivescovo Carlo Borromeo (Memorie Storiche della Diocesi di Milano, vol. XII, 1965, p. 116): la planimetria fa parte infatti degli atti della visita compiuta dal Seneca. La perfetta conservazione della carta suscita anche di fronte alla curiosità del nostro sguardo inesauribili interessi. Se ne può apprezzare la vivacità illustrativa animata da spunti realistici; si rimane colpiti dalla fantasia nella varietà della resa simbolica dei paesi stretti attorno alle chiese; anche se si tratta di chiese con pochi cascinali attorno, o di cascinali isolati, ma sempre inseriti in un contesto di vita religiosa: in questo caso, di dati apparentemente indicativi, la parola scritta (nelle ricche testimonianze disseminate negli atti delle visite) anima poi l’immagine con le informazioni che ci consegna nella trama devozionale che univa tutte quelle comunità negli itinerari processionali: così quella cartina ci porta alla luce come da una immagine nascosta il vissuto concreto, su uno spazio che sappiamo trasformato dal lavoro e scandito dai segni dell’esperienza di fede. Si acquisisce la convinzione che in quella riproduzione tutto nasca da un preciso schema logico, che la genialità del disegnatore lascia poi alla nostra intelligenza decriptare. Ma si attua così l’effetto che nella immagine che altri hanno lasciato possiamo riconoscerci come se qualcosa di noi fosse già noto: ovviamente anche per chi non vi è nato, ma sappia a poco a poco immedesimarsi, perché sugli stessi spazi vive e si identifica. Infatti quel paesaggio che con tecnica attuale, potremmo dire rappresentazione aerea, conserva tratti di fedeltà nelle proporzioni e nei rapporti con figure e spazi negli usi attuali: lago, fiumi, monti, strade si collocano e si presentano nei loro rapporti geometrici, di posizione, distanza e vicinanza con rispettabile approssimazione come su una moderna cartina. Concentriamo ora la nostra attenzione, in termini storici, con un occhio al presente, su Bosto, già indicato con fedeltà al dato amministrativo, come Castellanza, con la mente idealmente rivolta ai testi di Seneca e alle località da lui visitate: infatti negli atti della visita di Antonio Seneca nel 1581 per ogni comunità sono analiticamente indicati giorni ed itinerari processionali. Grazie a questi dati, noi, con uno sforzo di animazione immaginativa di spazi antichi, vediamo che Bosto, era un passaggio obbligato per chi proveniva dai paesi ad ovest ed a sud della Pieve, verso la meta comune (un tempo) di Santa Maria del Monte. Viceversa uno degli itinerari che (sulla planimetria) si dipartono da Bosto, passa presso il Nifontano, tocca l’altura di Sant’Albino per scendere verso Cartabbia e a Capolago. Ma anche Bosto, quando divenne nel 1575 parrocchia, incominciò a creare propri itinerari processionali o li rese, istituzionalmente, noti. Ma non sempre se ne è poi rispettata la consuetudine e con essa conservata la memoria. Tre anni fa la Comunità di Bosto ha avviato un itinerario processionale verso Sant’Albino, come sviluppo di una iniziativa devozionale incentrata sul ricupero del culto di Sant’Imerio, attorno alla memoria del martire i cui resti sono conservati nell’antica chiesa di San Michele. Uno dei momenti della festa di Sant’Imerio è legato alla iniziativa caritativa della vendita dell’olio prodotto su queste stesse terre; questo ha favorito una spiccata attenzione a tutto il territorio bostese circostante, e vi ha incluso anche Sant’Albino, geograficamente territorio bostese, ma fin dalla fondazione della Abbazia di Capolago altura di controllo sotto la giurisdizione monastica, insieme con Cartabbia. Il sospetto iniziale che si fossero violate appartenenze secolari è stato superato e da tre anni fedeli bostesi in comunione con fedeli delle parrocchie di Cartabbia e di Capolago, si ritrovano con i propri preti nella chiesa di Sant’Albino a pregare insieme. Ma dalla lettura degli atti della visita del Card. Pozzobonelli a Bosto nel 1755 è giunta poi la rivelazione che a quell’epoca Sant’Albino era meta processionale da parte dei fedeli di Bosto. Del testo si offre l’immagine nel volume di appartenenza, Pieve di Varese, vol. 40, fol. 215 e la traduzione italiana: “Inoltre quel popolo (di Bosto) suole procedere supplicante all’oratorio di Sant’Albino situato nel territorio di Capolago il primo giorno di marzo e lì ogni famiglia consegna al parroco (di Capolago) un obolo e mezzo, con l’onere a carico del parroco (di Bosto) di offrire a sua volta due ceri di sei once”.