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Sacerdote trezzese, versato nelle belle lettere, l’abate Pozzone è professore al ginnasio di Brera, precettore in casa di Alessandro Manzoni e tanto intimo del romanziere da correggerne le bozze

Cristian Bonomi

Sul marmo definitivo della tomba, al Famedio di Milano, 1792 e 1841 sono gli estremi anagrafici del sacerdote Giuseppe Pozzone, sepolto tra Tommaso Grossi e Amilcare Ponchielli. Ma le due date non bastano a riassumere la vita del barcaiolo che divenne abate. Giuseppe nasce a Trezzo sull’Adda, nella contrada Moroni che oggi porta il suo nome: impara il latino dallo zio Andrea Pozzone, prevosto trezzese dal 1808; e la voga dal nonno Antonio, portinaio del traghetto sul fiume. La famiglia veste gli abiti delle locali confraternite, votate a San Rocco e a Santa Marta, congiungendo le mani in preghiera anche al piccolo Giuseppe. Dopo gli studi a Castello sopra Lecco, Barlassina, Monza e Milano, costui celebra Prima Messa nel 1815 presso la parrocchia meneghina di San Marco, dove è assegnato quale coadiutore. Quattro anni dopo, Pozzone consegue la cattedra d’Umanità al ginnasio di Brera, risiedendo nell’attigua via Fiori Oscuri. È assiduo maestro di studenti assidui ma impartisce agli svogliati il minimo, che pretende da loro. Promuove la varietà delle materie insegnate oltre a quelle classiche, che pure gli sono care: in latino, compone una supplica al governo austriaco, perché riscaldi le aule braidensi. Siedono alle sue lezioni Luigi Ferrario, Giovanni Raiberti, Carlo Ravizza, Giuseppe Rovani: figure cospicue della cultura cittadina, che alzeranno l’incenso del ricordo sull’abate professore. L’amico Alessandro Manzoni lo sceglie intanto per domestico precettore del figlio Pietro. Al romanziere, presso la villa di Brusuglio, Pozzone introduce Cesare Cantù, che lo riferisce «parlatore di vena argutissima, diffuso e ricercato nella società milanese». Con perfetto stile, l’abate è concorrettore di bozze per la prima stesura dei «Promessi Sposi». Loda inoltre le opere letterarie che intende stroncare e, ai suoi alunni ginnasiali, affida l’autunnale compito di rilevare i pregiudizi della rivista «Biblioteca Italiana». Nel 1835 quest’ironia gli ispira «Per Prima Messa» che, rivolgendosi a un novello sacerdote, intreccia poeticamente «le ortiche della santa vigna». L’abate lamenta tra l’altro come certo clero «può farla da dottore più di Platone / che chi non dorme gli darà ragione». I versi di Pozzone sollevano il disappunto dei vertici ecclesiastici e governativi. Da Appiano Gentile, dove muore per gastroenterite, la sua salma è traslata al Famedio milanese nel 1887.

 

Opere del Pozzone: Alcune Poesie, Guglielmini-Redaelli, Milano 1841; Sermoni inediti di sacri oratori contemporanei, Nicolini, Milano 1843-1844, I e II; Della educazione, discorsi dei signori Ambrosoli, Arrigoni, Pozzone, Racheli, Zoncada letti nell’Istituto Racheli di Milano, Editori dello Spettatore Industriale, Milano 1844.