La perdita degli atti processuali non ha impedito la ricostruzione della vicenda attraverso lo studio delle lettere inviate dai prevosti di Arcisate e di Varese al vicario criminale di Milano
Suggeriamo la lettura dello studio condotto dal Deiana che, utilizzando materiale documentario conservato presso l’Archivio Storico Diocesano di Milano, giunge alle seguenti conclusioni:
«La vicenda delle streghe di Arcisate è stata da noi ricostruita unicamente indagando sui pochi documenti ancora disponibili: le lettere inviate dai prevosti di Arcisate e di Varese, amministratori delegati di giustizia, al vicario criminale di Milano, mons, Lodovico Boydo. La documentazione fin qui raccolta, anche se limitata nel suo complesso, è da ritenersi nuova, oltre che inedita, per quanto concerne il fenomeno della “stregheria” nell’area prealpina milanese. Da queste lettere, oggi conservate nell’Archivio Storico Diocesano di Milano, traspare ancora una volta il modus operandi degli inquisitori vescovili nelle pievi ambrosiane confinanti con la diocesi di Como, dove la “caccia alle streghe” aveva radici storiche con esiti spesso drammatici.
Le tre donne di Arcisate, fatte imprigionare dal prevosto Romagnano in base a vaghi indizi di oscuri “delitti”, son dette di volta in volta “malefiche”, “fattucchiere” e “streghe”, appellativi che le fanno ritenere dedite a pratiche di stregoneria legate alla superstizione popolare e al “malocchio”. Proprio la vaghezza degli indizi costringe gli inquisitori, seguendo il Malleus Maleficarum e ancor più il manuale De Strigiis del Rategno, a ricorrere alla “tortura della corda”, al fine precipuo di “meglio chiarire i fatti” e di “cavare la verita”. Verità ostinatamente non confessata dalla Corbelata, alla quale, morta in carcere forse a causa della tortura subita, verrà negata, in quanto strega ed eretica impenitente, la sepoltura cristiana in terra benedetta. Per gli inquisitori la tortura, viste le reticenze delle “malefiche”, si era resa necessaria per ottenere da costoro una completa e convincente confessione del corpus delicti, in assenza del quale non ero loro giuridicamente possibile emettere una sentenza di colpevolezza.
Infine, leggendo le lettere dei due prevosti delegati e le risposte del vicario criminale, si nota il progressivo attenuarsi di quel “rigorismo” nel “fare giustizia” che aveva contraddistinto la prima fase inquisitoriale, culminata con la “tortura della corda” e la morte della Corbelata. La liberazione della Caterina Lorenzetti, avvenuta a Varese in occasione della Natività di N.S., ci appare molto significativa a questo riguardo.
La perdita degli atti processuali purtroppo non ci permette di aggiungere altro».
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Fonte:
A. Deiana, Le streghe di Arcisate (fine sec. XVI) in «Rivista della Società storica varesina» (fascicolo XXXVI, 2019), Nomos, Galliale Lombardo (Va) 2019, 47-64.