In queste pagine rivive un vero e proprio caleidoscopio di storie di ogni giorno che hanno come protagonisti donne e uomini ebrei
All’interno del volume Italya. Storie di ebrei, storia italiana (Laterza, Bari 2021), Germano Maifreda ripropone in modo originale ed inedito la tesi secondo la quale sin dai tempi dell’Impero romano, in Italia, fra le nazioni autoctone e le nazioni ebraiche, vi furono relazioni ed interazioni (intellettuali, religiose, politiche, economiche, sociali ed affettive) che si configurarono, pur fra alti e bassi, come un reale e reciproco arricchimento e beneficio.
Lo studio del Maifreda si rivela originale ed inedito per varie ragioni.
In primo luogo a motivo dei documenti consultati ed in particolare per aver attinto a fonti archivistiche che, se non del tutto sconosciute, risultano perlomeno poco esplorate permettendo al lettore di conoscere episodi di vita sociale, familiare e personale ricavati da echi e voci provenienti da Milano, Venezia, Ferrara, Roma, Mantova, Casale Monferrato e dall’Italia unita. Leggeremo perciò di banchieri e sovrane, imperatori e gioiellieri, esorcisti e poetesse, librai e massoni, parlamentari, pittori, ciarlatani e musicisti… un’unica sorprendente storia italiana.
In secondo luogo a motivo dell’onestà intellettuale quando l’autore dichiara che il volume non si addentra nel Novecento e non tocca i temi della Shoah e della fondazione dello Stato d’Israele sia perché ritiene di non avere competenze storiografiche specifiche sia perché intende descrivere i rapporti fra la storia degli ebrei e degli italiani evitando di presentarli come «anticipazioni» o «prodromi» degli eventi novecenteschi.
In terzo luogo a motivo del fatto che sono presentati i pregi ed i limiti di due percorsi utilizzati da coloro che ricostruiscono la storia per illustrare le ragioni che hanno condotto e conducono molti italiani a pensare alla storia del proprio paese in modo separato ed indipendente dalla storia degli ebrei (che tuttavia lo abitarono ininterrottamente fin dall’epoca romana) e che hanno condotto e conducono molti ebrei ed italiani a pensare alla storia dei discendenti di Abramo come alla parabola speciale di una minoranza emarginata, isolata, perseguitata e perciò di poco conto rispetto alla «Grande storia».
Da un lato, perciò, l’autore presenta l’interpretazione del costruire la storia come il tentativo di mettere in evidenza una progressiva evoluzione all’interno della quale ogni evento viene descritto come un momento di transizione. Se questo modello permette di conoscere ed interpretare in modo corretto macro fenomeni come il capitalismo o l’unità d’Italia conduce, tuttavia, a trascurare la presenza delle minoranze le cui istituzioni ed azioni hanno comunque un ruolo all’interno di qualsiasi fenomeno storico come, per l’appunto, la presenza degli ebrei per gli italiani.
Dall’altro lato presenta l’interpretazione del costruire la storia come il tentativo di mettere in evidenza le relazioni fra pratiche, conoscenze e credenze mostrando come il prevalere di alcune su altre, all’interno di un determinato quadro di potere, ha orientato un determinato passato verso un determinato futuro. Se questo modello permette di conoscere ed interpretare la storia non come la realizzazione di una linea evolutiva che prescinde dalle persone ma come realtà creativa perché vissuta da esseri senzienti e liberi conduce, tuttavia, alla mancata comprensione di come all’interno di un contesto storico caratterizzato dalla prevalenza di pratiche e conoscenze scientifiche permangano o riemergano pratiche e credenza religiose (se non superstiziose) la cui presenza e attuazione ha comunque un ruolo all’interno di qualsiasi fenomeno storico come, per l’appunto l’insorgere di comportamenti di apertura e chiusura, accoglienza e rifiuto, collaborazione e competizione fra italiani ed ebrei.
In quarto luogo a motivo del fatto che il lettore è condotto ad interpretare le relazioni esistenti fra ebrei ed italiani all’interno dell’Italia dal secondo Quattrocento a fine Ottocento, contesto caratterizzato dalla presenza di insediamenti umani entro spazi urbani spesso omogenei, che esprimevano istituzioni, luoghi di culto e di ritrovo, lingue, legami familiari e professionali, manifestazioni pubbliche, percezioni di sé che pur connotati rimanevano fluidi. Questo contesto ci autorizza a parlare non tanto di ebrei e di italiani quanto di nazioni ebraiche e di nazioni italiane che hanno vissuto insieme nel «bel paese» e che spesso nell’organizzazione della vita cittadina hanno dato vita al ghetto ebraico non come luogo di segregazione ma come contesto all’interno del quale vivevano tutti coloro che erani accumunati da medesime consuetudini determinate non solo da credenze religiose ma anche da esigenze lavorative, dunque il quartiere ebraico può essere presentato in modo simile al quartiere dove abitavano coloro che esercitavano la professione di orefici, di spadari, di commercianti ecc.
Infine, come proposto dal Maifreda attraverso il titolo del libro, il reale e reciproco arricchimento e beneficio fra italiani ed ebrei può essere illustrato attraverso la fantasiosa etimologia ebraica del nome Italia fatta risalire ai termini ebraici «I tal ya» ossia l’isola della rugiada divina.