Storia di una stupenda chiesa ottagonale dell’allievo del Bramante, abbattuta durante la costruzione del Naviglio Pavese (1810)
Tra Badile e Binasco, lungo l’ex strada statale dei Giovi, all’altezza della diramazione per Pioltino e San Giacomo di Zibido, sorgeva da tempo immemorabile una cascina denominata “il Pilastrello”.
Il toponimo Pilastrello, come si evince ormai da una abbondante e stabilizzata bibliografia, fa riferimento, di solito, alla presenza sul posto di una pietra miliare, ovvero di una stele a parallelepipedo, posta alla distanza di un miglio (circa 1 km e mezzo), che durante l’urbanizzazione romana veniva posta, come segnaletica stradale, lungo le più importanti vie di comunicazione, soprattutto consolari. Non poche sono giunte sino a noi, anche se la localizzazione potrebbe non sempre coincidere con quella originaria.
Sui miliari veniva solitamente inciso il nome del personaggio pubblico, a cui era legato il tracciato. Successivamente, dopo la cristianizzazione del territorio, quel miliare fu riutilizzato in funzione devozionale, dipingendovi sopra immagini agiografiche soprattutto mariane. Nei secoli seguenti, particolarmente nel basso medioevo, questi manufatti furono, non di rado, incorporati in piccoli oratori, mantenendo la titolazione di “Pilastrello”.
Badile col suo Pilastrello apparteneva ecclesiasticamente all’antichissima pieve di Decimo, risalente al VI secolo. San Carlo Borromeo decise sostituirla nel 1568, essendosi ormai ridotta a pochi abitanti, con la vicina sede di Mettone. Tuttavia, dopo pochi anni, visto che gli abitanti di Mettone avevano disatteso gli impegni presi, trasferì nel 1584 la sede a Lacchiarella.
L’istituzione parrocchiale di Badile doveva già esistere nel XV sec. (Status ecclesiae del 1466): nel 1452 papa Nicolò V provvide alla nomina del prete Antonio de Zanatis alla chiesa di Santa Maria in Badile (ms. Sforza).
Nonostante, religiosamente, fosse legata a Decimo prima, e Lacchiarella poi, civilmente la nostra località era ancora profondamente legata a Binasco, nel pavese, dove, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, Paolo Somenza, cremonese, già segretario della cancelleria di Bartolomeo Calco, poi oratore sforzesco presso la corte di Lorenzo il Magnifico, indi, unitamente al fratello Agostino, segretario imperiale, arcidiacono di Trento, di nuovo segretario sforzesco e familiare di papa Clemente VII, risiedeva frequentemente.
Proprio il Somenza affidò a Bartolomeo Suardi, più noto col nome di Bramantino, la costruzione di una piccola chiesa legata al castello di Binasco, sul luogo dove si trovava il Pilastrello di Badile: “costruire fecit cappellam unam et hedificari prope oppidum Binaschi mediolanensis diocesis in loco campestri nuncupato il Pilastrello in viam publicam”. Il Bramantino si occupò della costruzione del nuovo edificio sacro per almeno quattro anni, mentre attendeva anche ai lavori della costruenda cappella Trivulzio, presso la chiesa di San Nazaro maggiore a Milano e ricopriva anche la carica di procuratore della fabbriceria di Santa Maria del Pilastrello.
La chiesa, a forma ottagonale, di cubiti 33 per 33 (circa 14 metri), fu costruita tra il 1514e il 1518 (in una annotazione della fine del Cinquecento, si legge “ecclesia Sanctae Mariae ad Pilastrellum inchoata 1514, dotata a domino Paulo Sementia) sul margine destro della via pubblica che da Milano conduceva a Binasco e poi a Pavia, di fronte alla strada che portava a Mentirate, dove ancora oggi si trova l’omonima cascina. Sull’angolo sinistro, delimitato dalla via per Milano e da quella per Mentirate, fu fatta costruire l’abitazione del cappellano, con annesso giardino di cubiti 80 per 59 (come da disegno allegato del 1573, nel fondo Visite Pastorali, dell’Archivio Storico Diocesano di Milano, pieve di Lacchiarella).
In un copioso manoscritto del 1535 “fundatio cum dote cappellae S. Mariae del Pilastrello facta die 28 maij 1535”, contenente la richiesta della costituzione di una cappellania di giuspatronato, si legge che l’elezione del cappellano spettava alla nobile famiglia Somenza e che l’onere consisteva nella celebrazione di una messa diurna, dietro compenso derivante da rendite immobiliari, quali l’affitto di una vicina osteria con 22 pertiche di terreno, di un mulino chiamato del Pilastrello ed altri appezzamenti minori.
Arricchita inizialmente di 16 colonne di serizzo, con relativi capitelli e basi, la chiesa bramantiniana rimase parzialmente incompiuta all’interno, tanto che ai tempi di San Carlo non aveva ancora il pavimento e l’intonacatura. Delle 16 colonne originarie, poi, ben 14 furono reimpiegate da Ferruccio Gonzaga per la costruzione di una loggia nel giardino della corte dell’Arengario, come ricordato negli atti della visita alla pieve di Decimo, nel 1566, dal visitatore Cermenati: extra erant columne scirriceae pulchere sed fuerunt conducte Mediolani tempore illustrissimi principis Ferrandi Gonzagae, et nunc alique bases manent de foris et aliqua ornamenta”, e sul finire del Cinquecento il Vicario arcivescovile ne richiedeva ancora il pagamento alla regia Camera. Le altre 2 erano state date dal Somenza, in prestito, alla chiesa di San Nazaro maggiore: tuttavia i preziosi marmi non tornarono più alla loro sede originaria.
In quegli anni (tra il 1533 ed il 1535) fu costruita anche la nuova parrocchiale di Badile, dedicata alla Natività di Maria Nascente, per cui entro i confini della parrocchia si venivano a trovare ben 5 edifici di culto: Santa Maria del Pilastrello, San Silvestro, San Vincenzo in Moirago, San Francesco a Mentirate e la parrocchiale, per una popolazione totale di circa 400 persone (periodo carolino).
Quattro anni dopo in occasione della visita del padre gesuita Leonetto Chiavone, veniva così descritta: ”Haec ecclesia est in octo facies fabricata (…) sine pavimento, sine fornice seu soffitta sed tegule et ligna apparent. Tres abet portas, unam in dicta parte orientali, aliam versus Papiam et aliam ex opposito huius, versus Mediolanum. Tria sunt in ea altaria. Unum est inter ipsas duas portas Papie et Mediolani in corpore ecclesie et muro distantem quod est Beate Marie cum fornice infima et vitrea transcena cum crate lignea ante illud. Alia duo sunt unum similiter Virginis et aliud divae Luciae dicatum.” Nella visita pastorale del 1573 la chiesa appare già trascurata, ancora senza soffitta, ma con tetto a vista, dotata di un altare maggiore ad ovest, di fronte all’ingresso principale aperto sulla strada Milano – Pavia, e due laterali. Un ingresso secondario era posto a nord, “la campana è posta sopra doi piastrelli sopra la chiesa verso mezzogiorno. Non vi ha secrestia ne altro campanile.”
Nelle sue ordinazioni, il cardinale Carlo Borromeo, così disponeva: “Si levi l’altare, et cappella della Madonna, qual’ è nel corpo della chiesa, et il pilastrello sopra quale, è depinta la madonna si riporti così intiero nella (…) all’incontro al pilastrello. L’altri duoi Altari si levino. Si faccia il pavimento della chiesa. Si incrostino, et imbianchino li muri della chiesa.
Si proveda in questa chiesa dell’infrascritte cose cioè. Uno paro di corporali secondo la forma delle instruttioni mie quali sono. Una donzena di purificatori. Una borsa rossa di qualche materia di seta (…).”
Occorre ricordare che un oratorio simile al nostro, sempre su progetto del Bramantino, a pianta ottagonale, fu fatto costruire dai nobili Mantegazza a Casatico di Siziano, all’ombra dell’abbazia di Campomorto, sempre pieve di Lacchiarella.
Nel Seicento Moirago veniva eretta in parrocchia, staccandola da Badile, scomparve la chiesa di San Silvestro, già precedentemente in rovina, mentre la nostra bella chiesa presentava segni di incuria e di depauperamento delle risorse economiche della cappellania, tanto che l’onere della messa quotidiana fu ridotto a due messe settimanali più la festiva.
Nel 1713, il parroco di Badile, Domenico Lorenzo Farina, interpellava il visitatore regionario Giovanni Pietro Adriani, protestando perché il cappellano del Pilastrello, Carlo Giuseppe Rognoni, canonico teologo di Rosate, avrebbe voluto celebrare la festa della Ascensione “Attesa la divotione ad un imagine della Beata Vergine che ivi s’adora alle volte vi è tal concorso che cinque confessori stentano a sodisfare ai penitenti”, con innovazioni pastorali ritenute fuori luogo, ma in realtà perché nell’occasione si prefigurava come concorrenza sleale con la parrocchiale.
Il cardinale Giuseppe Pozzobonelli nella sua visita locale del 1745, rilevava: “Distat hoc Oratorium ab Ecclesia Parochiali per miliare; eleganti architectura extructum, formam exihibet octangulam opere fornicato completam; octo habet praegrandes fenestras; à coronicibus ad pavimentum usque perfectum; Ipsiusque tum longitudo, tum latitudo ulnis viginti mensurantur.” La porta d’ingresso era sempre sulla via Milano – Pavia, di fronte all’altare maggiore chiuso da un cancelletto di ferro. Presenti altri due altari lignei laterali e la sacrestia, 4 per 5 braccia, con armadio in noce. Il campanile “cum campanis duabus “.
Il Pozzobonelli segnalava poi di riparare il tetto, essendoci le tegole da sostituire, poiché in caso di pioggia l’acqua entrava in chiesa e “opus vitreum Imagini Beatissimae Mariae Virginis superpositum illico reficiatur, ut potè indecens”.
Purtroppo, l’oratorio del Pilastrello, di bramantiniana memoria, sempre meno frequentato, sempre più disadorno, finì dopo tre secoli la sua esistenza, allorquando, tra il 1809 ed il 1811 fu completato il tratto di Naviglio pavese a Milano a Casarile, che comportò l’abbattimento dell’edificio sacro, trovandosi quest’ultimo proprio sul percorso progettato.
FONTI
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Archivio Storico Diocesano di Milano, Visite Pastorali, Pieve di Lacchiarella.
Archivio parrocchiale di Badile.
Archivio plebano di Lacchiarella.
Archivio di Stato di Milano, fondi Religione p.a., e Notarile.
G. Bruschetti, Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione interna del Milanese, Milano 1821.
E. Rossetti – C. Quattrini, Ancora il maestro dei Santi Cosma e Damiano: gli affreschi dell’oratorio di Santa Maria di Casatico, in “Nuovi Studi, 20, 2014”.
F. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi (a cura di), Bramantino a Milano, Milano 2012.
G. M. Vazzoler, Decimo, pieve, in “Dizionario della Chiesa ambrosiana” (DCA), vol. II, Milano 1988; Lacchiarella, pieve, DCA, vol. III, Milano 1989.