Riorganizzazione territoriale ed amministrativa della parrocchia di San Babila per volontà del cardinale arcivescovo Carlo Borromeo con Decreto del 25 giugno 1580
Durante la revisione e l’informatizzazione degli inventari realizzati da monsignor Ambrogio Palestra ho avuto l’occasione di leggere un documento del 27 marzo 1582, appartenente al Fondo della Curia arcivescovile, Sezione X – «Visite pastorali e documenti aggiunti», Serie 3 – «San Babila», Volume 16, Fascicolo 20 attestante la riorganizzazione territoriale ed amministrativa della parrocchia di San Babila. Questo documento va ad arricchire non solo la dettagliata descrizione artistica della Rietti ma anche la succinta descrizione amministrativa del Figini.
Se il culto di San Babila può essere fatto risalire alla presenza di monaci orientali all’interno della parrocchia dei Santi Romano e Babila, la dedicazione della nuova chiesa va legata all’opera di risanamento dei costumi ecclesiastici realizzata alla fine del secolo XI all’interno della Chiesa occidentale. Infatti San Babila, vescovo di Antiochia nel secolo III, viene indicato come modello di fermezza morale perché subì il martirio per aver impedito all’Imperatore – colpevole di assassinio – di prendere parte ai riti pasquali. Con tutta probabilità Sant’Ambrogio fece riferimento a San Babila quando agirà in modo del tutto analogo nei confronti dell’imperatore Teodosio.
Grazie agli studi della Rietti e del Figini sappiamo che il territorio della parrocchia di San Babila comprendeva una vasta porzione dello spazio urbano perché si estendeva sino al confine con le parrocchie della pieve di Bruzzano e che venne fondata nell’ultimo decennio del secolo XI. In particolare secondo le affermazioni di Landolfo Iuniore – nella sua Historia Mediolanensis della prima metà del secolo XII – l’omelia contro la corruzione del clero tenuta da Urbano II nel 1096 in Santa Tecla suscitò nel chierico Nazario Muricola, con il favore dei «vicini» della Parrocchia sei Santi Romano e Babila, il desiderio di sostituirsi ai sacerdoti ivi residenti e a costruire un «novum abitaculum». Che tale novum abitaculum possa essere identificato con la nuova chiesa dedicata a San Babila è confermato da un legato del 1099 utilizzato da E. Cattaneo nel suo contributo apparso in La Basilica di San Babila (ed. Tea, Milano 1952) inoltre anche il testamento del Muricola del 1148 fa riferimento non solo alla chiesa di San Romano ma anche alla chiesa di San Babila presupponendo, dunque, che le due Parrocchie fossero distinte ed autonome.
Alla fine del secolo XII, in seguito alle distruzioni del Barbarossa e del successivo allargamento delle mura cittadine sino alla cerchia nei Navigli, la Basilica dedicata a San Babila divenne intramuraria e crebbe di importanza a tal punto che nel 1387 la solennità di San Babila venne dichiarata festa cittadina. Fra i suoi parrocchiani vi fu Marco Carelli che nel suo testamento del 1393, pur destinando il suo ingente patrimonio al Duomo di Milano, riservò il ricavato della vendita di una casa «pro fabricha sacrestiae Sancti Babilae […] nondum finita». Poco più tardi, nei primi anni del secolo XV, anche la parrocchia di San Babila partecipò all’abbellimento della cattedrale col dono della statua di «San Babila ed i tre fanciulli» opera di Matteo de’ Raverti. Nella Visita Pastorale del 1567, il cardinale arcivescovo Carlo Borromeo definì la Basilica «antiqua sed tamen pulchra» e decretò lo spostamento del Fonte battesimale dalla parrocchia di San Romano alla parrocchia di San Babila perché quest’ultima aveva acquisito maggior importanza rispetto alla prima.
Esattamente a questo punto della storia della parrocchia di San Babila si inserisce il «nostro» documento del 27 marzo 1582 dove leggiamo che il cardinale arcivescovo Carlo Borromeo «de anno 1580 die 25 Iunij, suppressit et extinxerit quartam portionem Parochialem Ecclesiae S. Babyle Mediolani vacantem per obitum Rev D. Caesaris Orumbelli; sic suppressam, una cum universis eius bonis, iuribus , honoribus, et oneribus, ac etiam domo communiter, et pro indiviso perpetuo unierit alijs tribus portionibus Parrochialibus viciniae limites […]» ossia il riferimento al decreto secondo il quale la Parrocchia non sarebbe più stata divisa a partire da quattro porzioni bensì a partire da tre ciascuna delle quali affidata alla cura di un Parroco detto, appunto, porzionario. Il documento prosegue elencando sia le parti comuni sia le parti individuali toccate a ciascuno dei curati. Nell’elenco delle parti comuni troviamo, ad esempio, le spese relative alla celebrazioni degli offici divini (Sante Messe ed i Vespri) nello specifico l’acquisto della cera o del vino ma anche l’acquisto o la riparazione dei paramenti, i proventi relativi ai Legati pii, la possibilità per ciascuno dei curati porzionari di confessare e comunicare i fedeli della Parrocchia, le offerte legate alla celebrazione delle esequie ecc. Nell’elenco delle parti individuali troviamo, ad esempio, che al sacerdote Antonio Nava spetta la metà del Borgo dalla parte di San Rocco, tutte le case del corso incominciando da Santa Marta fino al portone incluso […]; al sacerdote Francesco Gazzaro tutte e case incominciando dalla Canonica fino al Ponte nuovo dell’una e dell’altra parte fino a Santo Stefano […]; al sacerdote Cesare Negro tutte le case della parte davanti la Chiesa, le case della parte vicina a Porta Tosa, Porta Nova […].
Si rivela degno di nota lo studio del Bosatra circa figura giridica, amministrativa e pastorale della Parrocchia perché ci permette di sapere che le Parrocchie porzionarie furono istituite per far fronte alle sempre maggiori difficoltà pastorali relative alla Parrocchie più popolose. In alcuni casi, come per Abbiategrasso, le porzioni finiranno per diventare Parrocchie distinte ed autonome, mentre in altre situazioni, come a Magenta, i ricorrenti dissidi fra i Parroci porzionari affretteranno il superamento del sistema attraverso l’elevazione della Parrocchia a Collegiata prepositurale. Per quanto concerne la parrocchia di San Babila grazie alla parziale inventariazione della Serie 9 – «Spedizioni varie» ad opera di Davide Adreani, abbiamo la possibilità di leggere un documento del 16 settembre 1686 (Fondo della Curia arcivescovile, Sezione III – «Atti della Cancelleria», Serie 9 – «Spedizioni varie», Filza Y2354) che attesta la conferma da parte dell’Arcivescovo Federico Visconti di una accordo economico – già approvato da Innocenzo XI – stipulato fra il Collegio dei Parroci porzionari ed il Capitolo. Certamente la suddivisione porzionaria scomparve definitivamente fra Sette ed Ottocento, quando divenne sempre più frequente e normale la presenza in Parrocchia del «coadiutore».
Riprendendo, ora, la lettura degli studi della Rietti e del Figini apprendiamo che Sisto V, con bolla del 27 giugno 1588, riconobbe canonicamente il Capitolo collegiale che, per il proprio sostentamento, poteva far conto sulle prebende canonicali frutto del testamento (1587-1588) di Gerolama Mazenta. Tuttavia già nel 1591 l’arcivescovo Gaspare Visconti definisce la basilica di San Babila «angusta admodum et indecens». Di qui il primo grosso intervento di rinnovamento fra il 1601 e il 1613, documentato dal canonico G.B. Villa, redattore dei verbali della Fabbriceria in quel periodo.
Il Collegio dei Canonici venne soppresso in ragione delle Leggi del Regno Italico del 1810 per poi essere ricostituito nel 1814 con la Restaurazione ed infine riconosciuto civilmente nel 1820. La Parrocchia venne soppressa nel 1787 con l’entrata in vigore del «Piano per la riduzione delle parrocchie cittadine», il territorio venne ripartito tra le nuove parrocchie di Santa Maria dei Servi, Santa Maria della Sanità, Santa Maria ai Cappuccini e Santa Francesca Romana. Nel 1791 venne di nuovo ricostituita sia pure con un territorio meno esteso del precedente. Nel 1805 venne soppressa la parrocchia di Santa Maria ai Cappuccini che fu assorbita da quella di San Babila nel cui archivio sono conservati i registri anagrafici di Santa Maria ai Cappuccini e San Primo.
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Fonti:
– G. Marsili Rietti, Basilica di San Babila in «Dizionario della Chiesa ambrosiana», NED, Milano 1987, Volume I, 322-325;
– G. Figini, Basilica di San Babila in «Dizionario della Chiesa ambrosiana», NED, Milano 1987, Volume I, 325;
– Bruno Maria Bosatra, Parrocchia in «Dizionario della Chiesa ambrosiana», NED, Milano 1990, Volume IV, 2668.