La Mensa arcivescovile si rivela particolarmente rilevante per la ricostruzione storiografica dell'immagine di Chiesa, di pastorale, di zelo sacerdotale
Tra i più antichi e più importanti fondi archivistici conservati in Curia vi è quello della Mensa dato che «nel novero dei cosiddetti benefici ecclesiastici – la cui millenaria vicenda oggi conclusa appare molto istruttiva in ordine alla ricostruzione storiografica dell’immagine di Chiesa, di pastorale, di zelo sacerdotale ecc. – un posto particolarmente rilevante deve essere assegnato alla mense vescovili e arcivescovili. Il caso di Milano, atteso il singolare prestigio goduto dalla sede metropolitana sin dall’antichità, appare anche a questo emblematico».[1] Non risulta molto facile ricostruire una storia di questa istituzione nel periodo previsconteo, a causa della dispersione dell’archivio arcivescovile al tempo di Matteo Visconti. Sappiamo però che già durante i secoli che vanno dalla dominazione franca all’età ottoniana i beni di proprietà dell’Arcivescovo di Milano si moltiplicano perché ai beni patrimoniali si aggiungono anche castelli, mulini, dazi, riserve di pesca. Il Giulini e il Savio ricordano tra le proprietà dell’Arcivescovo di Milano la Zecca, i castelli della Valtravaglia e di Brebbia, alcuni beni «comitali» come Varese, Legnano, Arona, la Valcuvia, la Val Marchirolo. Inoltre, per poter completare la mappa dei beni della Mensa sono utili anche alcune bolle papali.[2] La ricerca più importante e, forse, l’unica che getta uno spiraglio di luce sui beni e sulla gestione della Mensa rimane quello dell’archivista Ambrogio Palestra su Roberto Visconti attraverso lo studio di un registro di 184 missive che «quasi tutte trattano argomenti di carattere amministrativo e ci rivelano quindi molti elementi sulla consistenza dei beni arcivescovili e sui diversi modi di appartenenza alla mensa».[3] Da questa analisi sappiamo che i beni della Mensa arcivescovile di Milano erano di tre tipi: i possedimenti a titolo privato senza alcuna giurisdizione temporale, le terre di dominio temporale e i pedaggi. I primi erano posti ad Abbiategrasso, Armenteri di Pavia, Asso, Cassano della Berora, Casternago, Coirano, Gazio, Gallarate, Groppello, Inzago, Lecco, Saronno, Silvano, Tradate, Val Camonica, Valtellina, Vaprio e Vigevano: nei possedimenti posti in queste località l’Arcivescovo nominava i propri dipendenti e i propri funzionari che avevano anche il compito di difendere le prerogative arcivescovili. Le località su cui l’Arcivescovo aveva il dominio temporale erano: la pieve di Angera, Bellano, Besana, Bormio, Brebbia, Caglio, Cannobio, Casorezzo, Castano, Castellanza di Travaglia, Esino, Galliate, Intra, Legnano, Porto, Primaluna, Ravello, Rescalda, Rescaldina, Sesto Calende, Teglio, Varenna, Valassina, Val Marchirolo, Val Muggiasca, Valsassina, Valsolda, Valtaleggio e il Vergante. Nel registro poi si trova il caso del pedaggio del Vergante; è un documento importantissimo perché ci da l’idea del traffico di merci che si svolgeva sul lago Maggiore. Dal periodo rinascimentale prende sostanza la documentazione che ancora oggi è conservata presso l’Archivio Storico diocesano: molti sono i mastri e i registri di cassa che ci sono pervenuti e diverse sono le pergamene che ricordano donazioni, procure e concessioni dei beni della Mensa ad affittuari e conduttori. Il materiale dell’Archivio della Mensa è suddiviso nelle seguenti sezioni: Possedimenti; Amministrazione generale; Capitolo, Seminari, Opere Pie, elemosine e Opera pia catecumeni; Appendice. La sezione Possedimenti raccoglie il materiale sul dominio diretto dell’arcivescovo in alcune località, sui censi, i livelli e le decime che venivano versate all’arcivescovo stesso. Questa sezione conta 180 cartelle. Un caso singolare è quello del possedimento della Valsolda che fu feudo arcivescovile, governato con propri statuti, fin dal 1246, ma di fatto soggetto all’arcivescovo di Milano a cui prestava un giuramento di fedeltà. Nella sezione Amministrazione generale si raccolgono 40 mastri della Mensa, i 49 registri di cassa e spesa, i 38 registri di dispensa e cantina, alcuni pacchi di mandati e confessi di pagamento. Inoltre, vi sono conservate 16 cartelle di atti concernenti le prese di possesso e i testamenti di alcuni Arcivescovi e altre 3 di documentazione sul Palazzo arcivescovile. La terza sezione riguarda il Capitolo, i Seminari, le Opere pie, le elemosine e l’Opera pia catecumeni ed è formata da 32 cartelle e diversi pacchi. Da ultimo si trova l’Appendice: contiene registri vari, carte estranee e carte riguardanti l’assistenza ai soldati. Il beneficio della Mensa arcivescovile appare al primo posto tra quelli estinti, come conseguenza del superamento del sistema beneficiale all’entrata in vigore del nuovo Concordato. Possiamo concludere con questa considerazione: «Le carte della Mensa che non ci paiono ancora a sufficienza esplorate e valorizzate dagli studiosi sono destinate ad offrire senza dubbio non piccoli contributi storiografici in diverse direzioni: dall’economia, all’agraria, dall’architettura all’arte, dal diritto civile e penale alle scienze politiche.[4]
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[1] B.M. Bosatra, Mensa arcivescovile, in «Dizionario della Chiesa ambrosiana», vol. IV, Milano 1990, pp. 2171-2173.
[2] Bolla di Alessandro III a Oberto da Pirovano (14 ottobre 1162), Bolla di Onorio III ad Enrico di Settala (14 settembre 1219), Bolla di Alessandro IV a Leone da Perego (5 febbraio 1256).
[3] A. Palestra, Roberto Visconti arcivescovo di Milano (1354-1361), Milano 1971, p. 52.
[4] B.M. Bosatra, Mensa arcivescovile, in «Dizionario della Chiesa ambrosiana», vol. IV, Milano 1990, pp. 2171-2173.