Le proporzioni a cui siamo abituati, le simmetrie, le volte, le navate o le campate che ci sono note qui sembrano non avere più senso.
Si stenta a crederlo, ma davvero questo è un santuario mariano: “il” santuario per i vallimagnini e per molti tra i bergamaschi, che lo amano di un amore generoso, a cui sono legati da una storia specialissima e secolare. «Corna-busa», ovvero montagna bucata, apertura nella roccia.
Una definizione dialettale, un nome semplice, immediato, come semplice e diretta è la gente di quassù, come semplice e grandioso è questo luogo dedicato alla Vergine. Ai giorni nostri vi si arriva con una comoda strada, ma in passato non era così. Situata a mezza costa, aperta quasi sull’orlo di uno strapiombo, circondata da una fitta macchia d’arbusti e da irti crepacci, la grotta della Cornabusa era per i pellegrini una piccola, grande conquista: l’avvicinarsi era lento, meditato, quasi una processione, solitaria o comunitaria che fosse.
Resta, oggi come allora, lo stupore della scoperta, la meraviglia di fronte a un prodigio della natura che gli uomini hanno voluto rivestire di rinnovata sacralità. Diciamo subito che chi di un simile luogo volesse conoscere origini certe, date, fatti e avvenimenti, rimarrebbe deluso.
Il santuario della Madonna della Cornabusa, in verità, non sembra essere fatto per carte e documenti d’archivio.
La sua storia la si legge sulla nuda pietra, la sua memoria è nella preghiera incessante di generazioni e generazioni di fedeli.
E se in tanti secoli nulla di eclatante vi è forse accaduto, si ripete quotidiano il miracolo di una fede grande, di un dialogo tenero e ininterrotto tra la Madre e i suoi figli. Si capisce allora come non sia facile sapere come, quando e perché questa grotta fu “trasformata” in chiesa. Forse da sempre.
Le cronache medievali narrano di come la Valle Imagna, secondo una destino comune a molte parti di Lombardia, fosse funestata da lotte tra fazioni diverse, tra principi e potenti, con un seguito scontato quanto doloroso di saccheggi, ruberie e ammazzamenti.
E nella grotta della Cornabusa, come del resto in altre caverne della zona, la popolazione locale cercava scampo e salvezza, rifugiandovisi nei momenti di maggior pericolo e sventura.
Accadde un giorno – ma qui la cronaca lascia spazio alla tradizione – che una pastorella sorda e muta, riparatosi in quest’antro con il suo piccolo gregge, trovò tra le rocce una statuetta raffigurante la Vergine Addolorata, forse lì dimenticata da qualche devoto, o volutamente lasciata a vegliare in quella grotta.
Fatto sta che la ragazzina, al colmo della gioia e dell’eccitazione, corse in paese per gridare a tutti della sua inaspettata scoperta… Già, a “gridare”: perché miracolosamente la sua lingua si era sciolta, le sue orecchie si erano aperte.
E tutto ciò avveniva, dice la voce popolare, nei primi anni del Quattrocento. Da allora quell’antico, prezioso simulacro mariano non ha più abbandonato la grotta della Cornabusa.
continua…