di Luca Frigerio
Una grotta è oscurità e mistero. Come una porta che s’apre su un mondo sconosciuto, invisibile, sotterraneo. Come l’imboccatura di un cammino verso il cuore della terra, verso abissi nascosti al chiarore del sole.
Rocce, acqua stillante e vento, vento che s’insinua in mille fessure e che mormora, e che urla. E ci si affaccia incerti, inquieti di tanto silenzio, e del buio che sale, velando ogni cosa.
Eppure, qui, sulla soglia del santuario della Cornabusa, sentiamo, sappiamo che c’è di più. Che una grotta è anche rifugio che protegge, asilo che difende.
Ed è luogo dove il tempo svanisce nel lento ticchettio di una goccia, dove non c’è più giorno né notte, dove tutto è possibile, anche perdersi nei propri pensieri, e poi ritrovarsi. Come quegli eremiti che volontariamente hanno cercato la clausura di una spelonca per contemplare le cose celesti, senza più poterlo vedere, il cielo.
A pensarci, proprio in una grotta ha scelto di nascere un Dio fattosi uomo per amore. E da una grotta divenuta sepolcro il Cristo risorse.
Ma grotte e caverne erano sacre già agli antichi, graffite e dipinte dai cacciatori paleolitici, venerate dai greci razionalisti, meta di pellegrinaggio per i popoli del lontano Oriente.
Perché una grotta è oscurità e mistero, ma se ci si volta, se si sa dove andare, infine c’è sempre la luce ad attendere.
Lo sguardo si perde, nell’ampia, profonda grotta della Cornabusa, in Valle Imagna.
Niente colonne ma stalattiti, niente marmi ma pareti di roccia, niente organo ma il suono scrosciante di una sorgente.
Tutto è diverso, tutto è nuovo.
continua…