di Luca Frigerio
C’era una volta, in una terra non molto lontana, un piccolo paese incantato. Un lago a forma di cuore lo circondava, e nelle sue placide acque si specchiavano le mura merlate di un inviolato castello. Attorno si stendevano campi di grano e verdi prati punteggiati di fiori, mentre dolci colline si intravedevano all’orizzonte. Qui tutto era quiete e silenzio, e solo l’allodola, sul far della sera, faceva udire il suo canto dall’alto di una torre antica… C’era una volta, e c’è ancora. Per fortuna le favole belle, le favole vere, non sono mai finite. Il paese esiste veramente, e si trova nella campagna dell’alto mantovano, al limitare della Franciacorta, non distante dal Garda. Castellaro Lagusello è il suo nome, e già dice molto, se non tutto, della sua natura. Dice di un borgo fortificato, che è lì da ammirare, e di un bacino lacustre, orlato di canne, rifugio per starne e qualche airone. Anche la torre non è un’invenzione, rossa di mattoni sbrecciati, candidamente fiera del suo quadrato orologio. In passato le sue porte erano spesso chiuse, il ponte levatoio alzato, a tener lontano briganti e cavalieri nemici. Oggi i tempi sono cambiati, almeno un poco, e il possente baluardo ha acconsentito di buona voglia a trasformarsi in scenografica cornice di suggestivi scorci. Poche case, per lo più di sasso, dai davanzali fioriti, sono raccolte all’interno di muraglie bellicose, così evocative d’assalti e battaglie che paiono uscite dalla fantasia di un cantastorie più che dalla perizia di un architetto militare. E acciottolate sono anche le strade: ma giusto un paio, a dividersi quella maestra in un bivio che a nulla sfocia, in verità. Castellaro Lagusello è tanto minuscolo, infatti, che in questo borgo vi si arriva o vi si parte, ma davvero non vi si transita. Bisogna giungerci apposta, bisogna cercarlo. Occorre, insomma, aver desiderio di scovare qualcosa di bello, qualcosa di autentico, a costo di uscire dai soliti giri, a patto di non lasciarsi incanalare nei percorsi più battuti. Ed è cosa meno scontata di quel che s’immagina. Castellaro non si nega, ma neppure si concede con troppa facilità. Sulle mappe antiche, più che su quelle moderne, Lagusello sembra aver lasciato traccia di sé. Questa parte della provincia mantovana, del resto, fu abitata già nelle età protostoriche del bronzo e del ferro, frequentata da genti etrusche, intensamente popolata in epoca romana: i numerosi, interessanti ritrovamenti archeologici avvenuti nella zona ne sono eloquente testimonianza. Ma fu dopo il Mille che la posizione strategica di questo luogo divenne più che mai evidente. E preziosa. Territorio di confine, al centro di delicati equilibri, conteso fra potenze emergenti e consolidate signorie, Castellaro Lagusello – come verrà battezzato dai cartografi del basso Medioevo – si prestava magnificamente al ruolo di sentinella e di presidio, ora per difendere, ora come punta avanzata di uno schieramento offensivo. Su una altura appena accennata, eppure adattissima allo scopo, attorno al XII secolo si cominciò a edificare una rocca, imprendibile, inavvicinabile, perché isolata su tre lati da un fossato naturale, quel che rimaneva di un lago morenico, profondo e dalle rive traditrici. O almeno così si pensava… Già, perché nonostante tutto, il castello non ebbe un solo “padrone”, e nel corso dei secoli fu preso e abbandonato, conquistato e ceduto. Alle truppe degli Scaligeri veronesi seguirono quelle mantovane agli ordini dei Gonzaga, e nella lotta fra Venezia e il ducato di Milano il fortilizio vide più volte mutare vessillo, dalla serpe viscontea al leone marciano.