Così dovette restare per qualche secolo. Poi, nel Quattrocento, a Spinone fu concesso di staccarsi dalla tutela della vicina Monasterolo dotandosi di una propria parrocchia. Parve il momento e l’occasione opportuna per avere una nuova chiesa, più grande, più ampia. Ma, forse per un affetto storico, forse per un comprensibile risparmio, si preferì ampliare e rinnovare l’antica chiesa, piuttosto che costruirne una nuova.
I lavori, comunque, non furono da poco. La facciata fu portata sul lato meridionale, che venne innalzato e dotato di rosone e portale d’ingresso. La muraglia a settentrione fu abbattuta, e qui si innestò il prolungamento con il nuovo presbiterio. L’abside primigenia, invece, non venne toccata, ma perse il suo ruolo originale diventando parte del fianco della nuova navata. L’opera fu infine completata circa un secolo più tardi, al principio del XVI secolo, quando accanto alla facciata rinnovata fu eretto il caratteristico e snello campanile a cuspide.
San Pietro in Vincoli, insomma, divenne una chiesa (quasi) tutta nuova e diversa, pur insistendo (quasi) esattamente sugli stessi spazi. In quelle stesse forme in cui ancor oggi appare. Ma quel che più sorprende, è che i quasi duecento anni di ripetuti interventi non sembrano aver influito sull’aspetto piacevolmente “romanico” dell’edificio. È come se quegli anonimi edificatori, tra Quattro e Cinquecento, avessero voluto mantenere lo stile e l’atmosfera del tempio primitivo, senza tradimenti, senza stravolgimenti, ma anzi come prendendo ispirazione dalla sapienza costruttiva, dal gusto massiccio e lineare dei loro predecessori. Cosicchè tra quell’abside genuinamente romanica e gli inserti del periodo “rinascimentale”, non c’è in verità alcun contrasto, ma solo continuità di linee e armonia di forme. Il che, in verità, è una gran cosa.
Poche, al suo interno, le tracce di affreschi e di decorazioni, che pur dovevano ornare il sacro edificio. Restano, sul lato sinistro del presbiterio, una tenera Madonna col Bambino e, dall’altra parte, un minuscolo, enigmatico frammento di un dolcissimo volto femminile – la bocca e le gote, il naso e gli occhi appena -, bellissimo per fattura, emozionante per come emerge inaspettato dallo sterile intonaco.
Ma l’opera più importante la si trova nel sottarco che introduce alla zona dell’altare, dove ancora ben si leggono figure di profeti e sibille, di chiara, evidente derivazione lottesca. Quasi una copia, in verità, di quanto il maestro veneziano fece nel non lontano oratorio di Trescore, e che un precoce seguace ripropose qui con gusto e maestria.
Ancora uno sguardo all’avello dove è sprofondata la grande pietra crucisegnata. Ma nulla ci rivela e il mistero resta intatto. Ed è giusto così: abbiamo un alibi per continuare a sognare.