Testo e foto Luca Frigerio
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Quante volte San Patrizio ci ha accompagnato dall’alto, percorrendo la strada che da Bergamo attraversa la Val Seriana. Eccolo là, il santuario che si erge tra i verdi e i bruni della montagna, la bianca pietra che spicca nell’azzurro di un cielo finalmente sereno. Eppure guardiamo senza vedere, i pensieri forse impegnati a organizzare il week-end, alla neve che attende più in alto… Sì, sarebbe bello salire, osservare da vicino, ma la fretta, ma la pigrizia… Adesso basta, è deciso. Vertova, Colzate, e poi su, verso Bondo, per una strada sinuosa che sale rapida e promette scorci inattesi.
San Patrizio appare e scompare tra i rami radi di foglie dorate e ci invita, e ci chiama, saldo come una rocca, leggiadro come una casa di fate. E quando si è arrivati, il viaggio è ancora tutto da iniziare. Un portale di sasso, un atrio, una scalinata di piatti gradini. Ci si affaccia timidi, quasi timorosi di disturbare un incanto antico. Ma è lo stupore a spingerci avanti, là dove la luce penetra a onde, tra le arcate e le colonne sottili. Intuiamo, ancor prima di averne la certezza, la complessità di questo edificio, fatto di alti e di bassi, di pieni e di vuoti, di spazi piccoli e grandi. E l’armonia che tutto pervade, l’equilibrio che tutto unisce.
Il santuario di San Patrizio si rivela così, un insieme di luoghi che si scoprono tappa dopo tappa: la cappella di San Lucio all’ingresso, e più oltre la piccola chiesa medievale, quasi vegliata dal tempio maggiore. E poi l’abbraccio dell’ampio, sereno loggiato, che invita a sostare, a passeggiare meditando, come in un chiostro monacale.
Attorno si intravedono le linee dei monti, i boschi fitti d’abeti, i pascoli punteggiati di baite e in fondo la valle operosa, le case addossate, quelle vecchie, quelle nuove. E c’è un senso di pace, una quiete che riconcilia e ritempra.