testo e foto di di Luca Frigerio
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Quel consiglio era stato davvero prezioso, doveva riconoscerlo. Lui, Bernardo Bellotto, veneziano di nascita, di professione pittore, non appena arrivato a Milano si era guardato attorno, alla ricerca di soggetti interessanti, a caccia di paesaggi adatti al suo giovane, ma già capace, pennello. E qualcosa aveva subito trovato, certo, ma voleva di più. «Vada su, verso Varese», gli aveva detto allora qualcuno. «Vada a Gazzada, dove c’è una bella villa, e un panorama incantevole. E se poi è fortunato, vedrà la Rosa montagna come specchiarsi nel lago…». Il ventenne Bellotto non se l’era fatto ripetere. E poi lui alla fortuna credeva. Era sua amica, ne aveva già avuto prova in passato. Arrivò a Gazzada una sera di maggio del 1744. L’indomani cominciò a mettere mano a uno dei suoi capolavori. L’aria tersa, quasi frizzante. Una luce brillante, che accendeva i contrasti. Degli edifici rurali in primo piano. Poi, a salire, la nobile dimora dei Perabò, il lago e i monti a far da sfondo. Il suo maestro in Laguna, il grande Canaletto, avrebbe approvato.
Duecento e sessant’anni sono passati da allora, giorno più, giorno meno. Molto è cambiato da quando il pittore veneziano s’aggirava quassù. Ma molto altro è rimasto. Un fascino duraturo, innanzitutto. E poi la quiete, la serenità che ancora avvolge la grande casa al culmine di Gazzada, protetta da boschi e prati a perdita d’occhio, deliziata da una vista che apre il cuore. Una sorpresa che si rinnova, anche se a Villa Cagnola – come oggi si chiama – ci si è già stati, anche se si è tornati più e più volte. In principio, forse, vi era qui un piccolo fortilizio, una struttura di tipo militare, creata per controllare il territorio, sfruttando la favorevole posizione strategica dell’altura.
Quel che è certo, è che dal Seicento la famiglia Perabò ne fece il suo rifugio di campagna. Un edificio ampio, forse più funzionale che bello, circondato di pratici orti più che di giardini decorativi.