L’equilibrio è mirabile, assoluto. Quello stesso equilibrio che ritroviamo nell’interno della basilica, impostata su una pianta a tre navate, classica, lineare, priva di transetto e di cupola. A dividere lo spazio due file di sei colonne, tutte diverse, la maggior parte di recupero. Come pure i capitelli, ricavati da materiali romani, are o cornici. Facendo attenzione si noterà, ad esempio, una pietra miliare, con tanto di iscrizioni degli anni dell’imperatore Giuliano, nella seconda campata, a sinistra. Più in là si scorgeranno due delfini abbeverarsi a un vaso da cui spunta un tridente: elegante rilievo, quasi di cesello, del III secolo. Non sembra manchi qualcosa, tanto l’occhio è appagato. Ma le ampie superfici sovrastanti i colonnati non furono sempre spoglie come appaiono ora. A ben cercare, infatti, si scopriranno frammenti d’affresco, e anche un paio di scene quasi integre, verso l’altare maggiore. Come la creazione di Adamo, dove il pulsare stesso di una vita chiamata dal nulla, fa rimpiangere quanto è andato perduto. Sotto il presbiterio si stende la cripta. Luogo raccolto, oratorio protetto di invernali liturgie, in cui lasciarsi irradiare dai primi raggi mattutini, volgendo lo sguardo all’Oriente da cui giunge la Salvezza. Anche qui colonne salde, ma non tozze, con capitelli incisi, più che scolpiti, in un’astrazione di forme vegetali e di spirali. Le volte sono a crociera, spigolose, ossute, quasi a voler dare risalto alle ombre. La dignità plebana di Agliate è ricordata anche dal battistero quasi addossato alla basilica. Che è ottagonale, secondo la ricorrente simbologia battesimale, ma con la sorpresa di una lato in più, quasi una “tentazione” di distinguersi dai suoi colleghi ambrosiani e lombardi. E poi gli affreschi, che sono belli anche senza voler tenere conto della favola popolare che li vuole di mano di Giotto. Le differenze, la molteplicità, i dati imprevisti, ancora una volta si dimostrano singolare ricchezza del romanico. E Agliate ne è ulteriore conferma. Una disomogeneità che imprevedibilmente si converte in unità. Proprio come dovrebbe essere la comunità dei cristiani: tanti carismi, molte idee, un’unica Chiesa.