Lasciarsi interrogare è il primo passo per avviare un dialogo sereno e fiducioso: alcuni spunti, offertici da Mohsen Mouelhi, imam della Confraternita Jerrahi Halveti di Milano, possono aiutarci a compierlo.
di Mohsen Mouelhi
La paura dell’islam si concentra su tre poli connessi fra di loro: ignoranza, informazione distorta, comportamento e dichiarazioni insensate e non responsabili di alcuni “presunti” responsabili della comunità. Ed ecco come e dove si manifestano tali pregiudizi:
• Paul Claudel diceva: «Considero ostile tutto ciò che non capisco» e questa frase può essere la chiave di lettura della presa di posizione che si vive oggi per quello che concerne l’islam.
•La gente di tutte le razze e le fedi ha oggi poche certezze, che per giunta vanno indebolendosi col tempo.
•Per scarsa conoscenza della propria fede e ignoranza della fede altrui si finisce col dare peso prevalentemente agli aspetti “folcloristici” ed esterni, praticati da gente spesso con livello “religioso” e culturale molto limitato.
•Giornalisti che pescano nel torbido e sovrespongono alcuni fatti di cronaca dove sono implicati arabi (ovviamente per colpevolizzare il mondo musulmano).
•Confusione fra arabi e musulmani.
La “grande paura” è più di natura politica che reale (frutto di campagne mirate durante le elezioni che cercano i voti di gente insoddisfatta), e infatti quando la paura è a livello di massa, ma non a livelli interpersonali (nell’ambito familiare, lavorativo, delle relazioni sociali), la discriminazione è molto più debole.
D’altra parte, l’islam, come tutte le altre religioni, non è un blocco monolitico e si cerca spesso di dividere i musulmani in categorie, mettendone in evidenza le frange più estremiste. In tal modo si giudica l’islam non sul suo passato e sulla sua ricchezza spirituale e culturale (gloriosi, ad esempio, in Spagna, Sicilia e altrove), ma su quello che succede oggi, su fatti relativi alla vita interna di vari Paesi, circa la difesa delle libertà e la situazione della donna (pur sapendo che questi Paesi sono alleati di Paesi occidentali e da essi sostenuti).
Si imputa così all’Islam tutto quello che “alcuni” musulmani commettono, non a nome della loro religione o della loro etnia, ma perché qualcosa di storto gira loro in testa (mentre i giornali mettono in evidenza nei titoli l’appartenenza etnica e religiosa come se fosse il motore stesso della commissione del reato): si parla spesso di musulmani e raramente si parla con loro. Spesso si dà la parola a gente che la pensa in modo estremista o a persone che non hanno una conoscenza perfetta della lingua e non riescono a esprimer le loro idee in modo lineare.
Purtroppo le associazioni che dovrebbero difendere la purezza dell’islam e mostrarne l’aspetto non violento sono divise fra di loro e spesso i dirigenti sono impegnati in lotte “pseudo-dottrinali” fra di loro.
Èquesto un tempo difficile, contrassegnato da pessimismo, paura, conflitti, disprezzo e violenze; tutte tappe queste che si concatenano l’una all’altra e portano a quello che stiamo vivendo: la ricerca del capro espiatorio che si attua in attacchi ai luoghi di culto, rifiuto delle autorità ad autorizzare nuove costruzioni, disprezzo dei simboli. Spesso poi i processi contro presunti terroristi, pseudo-islamici, sono lunghissimi e mediatici; questo permette che si creino falsi eroi, falsi martiri, e se un giudice la pensa diversamente viene “crocifisso”.
Tanti che si spacciano per esperti in islamismo non lo sono per niente e non basta leggere il best seller “Mille e una notte” per vantare una cultura vera ed esauriente sul mondo arabo e musulmano e ancora meno una conoscenza della religione musulmana .