La missione della Chiesa nel prendersi cura dell’umanità ferita al centro dell’omelia dell’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, nella Messa crismale da lui presieduta e concelebrata questa mattina in Duomo con il clero diocesano (presente anche il cardinale Angelo Scola, Arcivescovo emerito). Quella crismale è l’unica Messa in programma in Diocesi nella mattinata del Giovedì Santo, con la benedizione degli Oli e la consacrazione del Crisma, destinati alle parrocchie per l’amministrazione dei sacramenti. Le offerte raccolte durante la celebrazione sono destinate alla Fondazione Opera Aiuto Fraterno.
Il modello da seguire
L’omelia dell’Arcivescovo parte da una osservazione: «Uomini e donne di ogni tempo hanno vissuto stagioni e imprese come fossero immortali, come non avessero bisogno di nessuno, nemmeno di Dio… Sani, ricchi, belli, allegri, audaci, fieri di essere adulti e di essere affrancati da ogni relazione di dipendenza», compresa quella «che si chiama religione». Eppure anche loro hanno constatato «che dopo essere stati giovani si diventa vecchi, dopo essere stati sani ci si ammala, dopo essere stati allegri si diventa tristi e depressi… Hanno dovuto riconoscersi, come tutti, precari e fragili». L’umanità è ferita, «chi può guarirla?».
Gesù indica come modello «lo straniero sconosciuto che “ebbe compassione”». La compassione di Gesù «è la potenza di Dio che salva e che rende possibile sperimentare la misericordia del Padre»; l’olio benedetto per l’unzione simboleggia l’opera di guarigione «in cui si compie la missione di sanare l’umanità ferita». Nella missione affidata ai Dodici e alla Chiesa si perpetua la missione di Gesù e si rivela «la grazia di partecipare al suo sacerdozio».
La Trinità apre a una nuova dimensione
L’Arcivescovo si sofferma poi sulla comunione trinitaria, che «molti ritengono un enigma sottratto all’intelligenza». Ma «se ci si lascia attrarre dentro questo mistero», si impara non solo «che Dio ci ama, ma che in se stesso è amore». Qui si fonda anche «il dialogo con le altre religioni», perché «la rivelazione trinitaria non viene più sentita come una verità divisiva», anzi «intende riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi». È un richiamo esplicito al Sinodo minore da poco concluso: «Chiesa dalle genti, scopriamo la forma e le dimensioni che assume la missione di Gesù oggi, dentro questo mondo che cambia».
Convertire i cuori e gli stili
Il passaggio successivo è dedicato alla missione della Chiesa, che solo nello Spirito Santo trova «l’acqua viva e il fuoco ardente che custodisce e irradia la gioia, la gloria, la vita di Gesù». È quindi necessaria una conversione dei cuori, a partire dal linguaggio: «Chiameremo le celebrazioni l’opera della Chiesa che compie le opere di Dio, chiameremo le riunioni incontri per un discernimento comunitario, chiameremo le parole eco della Parola, chiameremo i calendari la grazia delle occasioni». Con una serie di inviti precisi al clero: si impone uno stile docile piuttosto che protagonista e «un modo di presiedere la comunità che sia servizio piuttosto che affermazione di un ruolo», occorre «rendere i nostri incontri comunitari, nei consigli pastorali, nelle assemblee del clero, nelle diaconie, quell’essere tutti insieme nello stesso luogo che predispone all’esperienza di Pentecoste».
A preti e diaconi – ringraziati «per la testimonianza che offrono e la dedizione al ministero pastorale» – si raccomanda di «vivere la fraternità nel ministero con più evidente senso di appartenenza e più gioiosa gratitudine per essere insieme a servire il popolo cristiano». E tutti i fedeli sono chiamati «a vivere entro la dinamica trinitaria anche il servizio di corresponsabilità nella comunità cristiana»; in questo senso il rinnovo dei Consigli di Comunità pastorali e di parrocchie in programma nei prossimi mesi (in proposito è stata distribuita una nota esplicativa del Vicario generale) in «è tempo opportuno».
Lasciarsi condurre dalla Parola
L’Arcivescovo prosegue esaminando la celebrazione dei santi misteri, accesso a «una relazione che rende vera la comunione con il Figlio, per potenza di Spirito Santo». Una comunione che «rende possibile avere gli stessi sentimenti di Gesù, praticare la preghiera di Gesù, accogliere la verità di Dio rivelata da Gesù perché la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena». Ma allora, si chiede, perché «avendo ricevuto la sua gioia, continuiamo a esser tristi? Come avviene che, introdotti alla preghiera di Gesù e alla verità da lui rivelata, continuiamo a pregare un Dio anonimo e a insinuare sospetti e diffidenza a proposito di Dio?». L’Arcivescovo si offre di «incoraggiare e dare il buon esempio nell’imparare e raccomandare la docilità e la disponibilità a lasciarsi condurre dalla Parola di Dio». Se chi presiede le celebrazioni può esporsi al rischio «di lasciarsi così prendere dal suo ruolo da dimenticare di essere a servizio dell’incontro dei figli con il Padre per mezzo del Cristo», è necessario «imparare ed esercitarci a vivere anche le celebrazioni che presiediamo con la docilità dello strumento di cui lo Spirito si serve per rendere possibile la partecipazione dei fedeli alla comunione trinitaria». Non manca un’indicazione pratica: «La devozione cristiana ha interpretato in modo cristiano tutti i momenti della giornata e le azioni della vita con il segno della croce… Forse potremmo imparare e insegnare a fare il segno della croce!».
La carità come testimonianza evangelica
La conclusione dell’omelia è dedicata alla dimensione caritativa, che «anima tutta la vita dei discepoli di Gesù: le prestazioni professionali, come la gratuità di innumerevoli dedizioni, la vita familiare come il servizio alla comunità, la sollecitudine per i più poveri come la qualità dei rapporti di buon vicinato, l’avveduta gestione delle risorse economiche come la generosità della beneficenza in vita e in morte». Ma è la consapevolezza della dimensione trinitaria di questa pratica a trasformare «semplici buone azioni in forme della testimonianza dell’amore evangelico». Così, sotto la guida dello Spirito, «chinarsi sull’umanità ferita non si riduce a una forma assistenziale, ma si cura dell’edificazione di una prossimità secondo il comandamento di Dio; l’intraprendenza e la dedizione negli ambiti dell’impegno sociale, civile, politico non è solo espressione di una personalità generosa e capace, ma è mettere i propri doni al servizio dell’utilità comune». Per arrivare fino al sacrificio della propria vita, «compimento dell’amore che giunge fino al martirio, compiendo il comandamento di Gesù che chiede di amare come lui ha amato».
Radio Marconi riprenderà i punti principali della celebrazione durante uno “speciale” in onda alle 15.30.