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Milano

L’Arcivescovo ai giovani: «Si diventa grandi quando si capisce che la nostra vita è benedetta da Dio»

Nella festa di San Giuseppe celebrazione eucaristica in Duomo per duemila studenti dei Centri di formazione professionale, accompagnati in Cattedrale da educatori, tutor e responsabili degli istituti

di Annamaria BRACCINI

19 Marzo 2019

Prima tutti in Cattedrale per la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo. Poi, dopo la Messa, fuori dal Duomo per il flash-mob #stessabandiera, in cui una grande bandiera europea – di 600 mq – colora la piazza con il suo azzurro e le stelle. Gli oltre 2000 giovani che frequentano i Centri di formazione professionale e che arrivano dall’intera Diocesi con i loro educatori, tutor e responsabili, vivono così la mattina della solennità di San Giuseppe, patrono dei lavoratori e degli artigiani.

«Oggi, nel giorno di san Giuseppe, festa dei papà, esprimo a nome di tutti i presenti la consapevolezza che abbiamo in lei, carissimo arcivescovo Mario, un padre per sentirci guidati nel cammino di crescita umana e cristiana. Ci sentiamo di affidare al Signore il desiderio di futuro che è nel cuore dei nostri giovani, della nostra società, nel Paese e in Europa», dice nel suo saluto iniziale don Massimiliano Sabbadini, presidente nazionale di Confap (la Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale, che con Aef ha organizzato l’iniziativa) e presidente della Fondazione Clerici.

L’omelia dell’Arcivescovo

Direttamente ai ragazzi si rivolge l’omelia dell’Arcivescovo, che dice: «Quando ti sei accorto di non essere più un bambino? Quando è stato che ti sei reso conto di essere un uomo, una donna, una persona con una sua libertà, una sua personalità, che ha pensieri suoi e desideri diversi da quelli degli altri?». Differenti le risposte di giovani immaginari, ma che hanno molto di reale: l’Inquieto si è accorto di essere diventato grande quando ha sentito fastidio per chi lo trattava da bambino; l’Insoddisfatta si è sentita adulta quando è crollato il mito dei genitori; il Ribelle se ne è accorto «quando ha ridotto il vocabolario a una sola parola, dicendo sempre e soltanto “no”. No al cielo e no alla terra».

Dal Vangelo di Luca – con il famoso episodio di Gesù che, ancora fanciullo, viene ritrovato dai genitori nel tempio mentre predica ai maestri -, nasce la via per trovare un atteggiamento diverso. «Per Gesù l’esperienza del diventare uomo, con una sua personalità, i suoi pensieri e la sua storia, non si manifesta come inquietudine e insofferenza, non come insoddisfazione e delusione, non come ribellione e opposizione. Per lui il distacco dai genitori e dall’infanzia si esprime nella parola che rivolge a Maria e a Giuseppe che lo cercano angosciati: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”».

Da qui l’indicazione: «La personalità si definisce nella risposta alla vocazione. L’esperienza di Gesù diventa un messaggio e un invito, perché suggerisce che la via per dare compimento al proprio essere uomini e donne è rispondere al Padre che chiama, prendere coscienza che non siamo al mondo per caso e per niente. Nell’avventura del diventare grande non siamo abbandonati a noi stessi, costretti a vivere come vagabondi in un deserto senza strade. Non siamo i presuntuosi che perseguono i loro progetti di potere, ricchezza e piacere costruiti sulla sabbia, non siamo rassegnati che cercano di non pensare e di non soffrire. Si diventa grandi quando si capisce che siamo interlocutori di Dio, per compiere la missione che ci è stata affidata: mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo, sentirci dentro un popolo in cammino verso la terra promessa. Si diventa grandi quando si comincia a capire che la nostra vita è benedetta da Dio».

«Per questo siamo qui a festeggiare San Giuseppe perché, con il suo silenzio e la sua serietà, la sua giustizia e la sua fede, possa aiutare tutti noi nell’impresa affascinante del diventare adulti, uomini e donne che rispondono alla loro vocazione, avendo la fierezza e la consapevolezza di essere interlocutori di Dio, intendendo la vita come una responsabilità e lasciando questo mondo migliore di come lo si è trovato».

Invito che viene rinnovato alla fine: «Ricordo che questa Cattedrale, che forse pensate sia più adatta a Vescovi e sacerdoti che non a voi giovani, è stata costruita da operai, muratori, maestranze, artigiani che hanno saputo contribuire con il loro lavoro».

Poi, terminata la Celebrazione, tra le navate, si realizza un breve momento di animazione per esprimere la gioia e la bellezza di vivere: si alzano le braccia, ci si sorride reciprocamente, ci si abbraccia.

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