L’ingresso nella Chiesa evangelica valdese dei Ministri delle 19 Confessioni appartenenti al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, con una processione insieme semplice e raccolta, seguendo il Libro dei Vangeli aperto e tenuto tra le mani dalla pastora Daniela Di Carlo. Con la Veglia ecumenica cui partecipa anche l’Arcivescovo, inizia così a Milano la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani 2023, alla quale prendono parte tanti fedeli e rappresentanti delle diverse Confessioni, tra cui sacerdoti legati ai percorsi ecumenici della Diocesi e il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile del Servizio diocesano per l’Ecumenismo e Dialogo.
Nel tempio storico in cui, il 24 gennaio di 25 anni fa, iniziava il suo cammino il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, accompagnato dalle parole allora profetiche del cardinale Carlo Maria Martini, tutto parla di pace e di giustizia. Così come recita il tema dell’Ottavario di quest’anno, tratto dal primo capitolo del profeta Isaia, «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia». Titolo scelto tre anni fa dai cristiani del Minnesota, sull’onda dell’indignazione per la morte di George Floyd, il giovane di colore ucciso dalla polizia.
Naturalmente ora non si può non pensare alla guerra – significativo che i canti siano eseguiti dal Coro “Iux lucis” della Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca – nella celebrazione presieduta da monsignor Luca Bressan, Vicario di settore e presidente della Commissione ecumenica della Chiesa ambrosiana, da padre Traian Valdman, archimandrita della Chiesa Ortodossa Romena, e dalla pastora evangelica metodista Sophie Langeneck.
Riparare il mondo
«La preghiera di questa sera vuole essere invocazione e testimonianza della necessità della grazia di Dio per superare le nostre divisioni e per sradicare i sistemi che hanno contribuito a separare le nostre comunità», si dice infatti nell’introduzione che precede il canto dell’invocazione dello Spirito e i saluti della comunità ospitante.
«Con grande e immensa gioia do il benvenuto a tutti voi, sorelle e fratelli. Questa è una Settimana che idealmente supera i confini del mondo, con la forza della preghiera per la difesa dei più deboli e per dare loro voce. Sia un momento di comunione e di riflessione, come singoli e comunità, che ci renda responsabili di fronte al messaggio che il Signore ha indicato attraverso suo figlio Gesù Cristo», dice Raffaella Gay, presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Milano con parole cui fa eco la pastora Di Carlo che ricorda l’ebraico «Tikkum Olàm»: «Un’espressione che significa “Aggiustare il mondo”, ma anche avere cura di chi è maggiormente ai margini. Il messaggio è che questa Settimana non sia solo una serie di eventi, ma un luogo dove riparare tutti quegli anni in cui il cristianesimo è stato sentito come qualcosa di disunito che aveva nemici nelle altre Confessioni. Dobbiamo riparare questo mondo colpito dalle guerre, dalle ingiustizie, dalla deriva della diseguaglianza. Facciamo tikkun olàm perché siamo riconoscenti e sapendo che si può essere uniti anche se non siamo uguali, diversi anche se non siamo identici».
Poi, la confessione di peccato e la richiesta di perdono, la proclamazione del Salmo 42 e del Vangelo di Matteo 25, sui quali torna l’Arcivescovo nella sua riflessione (qui il testo integrale).
Fare il bene e cercare la giustizia
«Che cosa intende insegnare Gesù? Che cosa intende insegnare a noi in questo momento? Perché ci ha qui radunati con le nostre divisioni, le nostre stanchezze, le nostre ferite, le nostre domande? – chiede l’Arcivescovo -. L’insistenza di Gesù è per evitare di pensare la vita come una banalità, di intendere i rapporti in un modo ottuso, di guardare alle situazioni come una fatalità irrimediabile. Gesù non vuole che noi siamo fatalisti, anche se le divisioni, che ci fanno soffrire, sono serie, hanno una lunga storia, sono segnate da molte tristezze e lacrime. Non possiamo essere ottusi e dobbiamo essere vigili. Ogni situazione è occasione, ogni rapporto è un incontro, ogni momento della vita è abitato dalla gloria di Dio».
«Questa pagina di Vangelo – prosegue – ci consegna una specie di smarrimento di fronte alla pressione mediatica, alla costante malizia delle insinuazioni che potrebbe paralizzarci perché, anche se doniamo un pane o diciamo “pace”, possiamo essere fraintesi. Ma la minaccia del fraintendimento di tutto non può farci sentire esonerati dalla logica del dono. Tutto può essere mistificato e la manipolazione delle notizie è umiliante per la verità e per le buone intenzioni, ma resta il comandamento e la grazia di uno sguardo illuminato dallo spirito che continua a permetterci di camminare sulla via del Signore, di imparare a fare il bene, di cercare la giustizia».
Come rispondere, allora, a ciò che il Signore chiede qui e oggi ai cristiani? Chiarissima la risposta e, quindi, la consegna: «Ci insegna la profondità teologica del gesto minimo perché non è una cosa che dai, quando doni un pane, un vestito, una casa, ma è la rivelazione del rapporto con Gesù. Non sottovalutate quello che fate, non ritenete di essere insignificanti perché le cose non cambiano; non siate ossessionati dal fare i conti di quanti siamo. Non calcolate l’importanza del gesto minino a partire dai risultati e perciò non restate troppo delusi dall’esito. Il modo in cui Dio ci giudica e guarda è diverso da quello delle statistiche, dell’efficientismo e dei risultati. Non aspettate che cambi il mondo per capire che cosa dovete fare, non perdetevi in discussioni astratte, non accontentatevi di praticare i precetti. Questa pagina del Vangelo così sobria, incisiva ed esigente, dice che questo non è tempo di troppe parole».
Le testimonianze di aiuto
Dopo la predicazione dell’Arcivescovo prendono la parola tre testimoni che richiamano, rispettivamente, l’accoglienza di profughi ucraini a cura della Chiesa ortodossa romena (4 i trasporti per un totale di 140 tonnellate di alimenti, coperte, generi di prima necessità inviati; il primo, entrato l’1 marzo 2022 a Odessa, era un aiuto proveniente da Sesto San Giovanni), l’impegno di Caritas ambrosiana con “Casa Zoe” per donne maltrattate e vittime di tratta, e il riscatto da situazioni di discriminazione a cura della Chiesa evangelica. Tutto questo per essere «pietre vive», come sottolinea monsignor Bressan in riferimento alle piccole pietre simbolicamente consegnate all’ingresso ai partecipanti che, infine, pregano e recitano coralmente il Padre Nostro.
All’uscita la colletta viene devoluta alla Chiesa ortodossa di Romania per l’attività di accoglienza e ospitalità dei profughi ucraini.
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