«Non è vero che non ci sono più risorse per il non profit, non è vero che in Italia manca la liquidità». Ha idee chiare e spiazzanti Davide Maggi, docente di Economia aziendale presso l’Università del Piemonte orientale. Quando sembra che le risorse per il welfare vadano riducendosi, è lecito pensare che le attività delle associazioni subiranno pesanti conseguenze. «È vero – ammette il docente -, se pensiamo che i contributi debbano arrivare solo dallo Stato. Ma ora è il momento di intraprendere strade nuove».
Insieme al collega della Bocconi Giovanni Fosti, il professor Maggi avvierà i lavori del convegno in programma sabato 29 e domenica 30 novembre al Centro pastorale ambrosiano di Seveso, organizzato dal Servizio diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, sul tema «Meno risorse, quale welfare?».
«Nel mio intervento vorrei mettere in luce la necessità di innovazione anche nell’ambito del welfare – anticipa -. È il momento di trasformare una concezione orizzontale, nella quale lo Stato elargisce fondi al non profit, in un percorso circolare, dove il privato profit e non profit sono chiamati a una coproduzione, a una cogenerazione». Se non è più l’ente governativo il soggetto che paga, «allora il welfare ha futuro se non è più inteso come un semplice bene di consumo, ma piuttosto di investimento, una possibilità per rispondere a necessità nuove».
Il convegno di sabato potrebbe suggerire «più che modelli, spunti – precisa Maggi -. Il protocollo si applica nell’emergenza e dura lo spazio di una mattina per arginare i danni. Un po’ come accade in questi giorni con le esondazioni dei fiumi: le procedure affrontano l’emergenza, ma per una soluzione duratura ogni territorio deve trovare la propria strada». Così anche nell’ambito associazionistico, «dove il percorso è importante tanto quanto l’obiettivo, e ognuno deve immaginare il proprio, altrimenti la logica rimane quella assistenziale». A partire dalla realtà di riferimento, precisa Maggi: «Si parla in questo periodo di “welfare comunitario”. È un principio corretto, ma regge se c’è una comunità su cui fondarlo. Prima di ricostruire il tessuto economico è necessario ricostruire il tessuto sociale frammentato in cui viviamo».
Anche oggi, ne è convinto il docente, «le risorse si possono trovare. Non nel pubblico, ma per esempio nelle fondazioni bancarie che operano con una logica generativa. Conosco più di un caso in cui enti hanno restituito le sovvenzioni perché non sono stati in grado di portare a termine il progetto per cui le avevano ricevute. È necessario lavorare su questo ambito, impegnandosi con professionalità». O ancora «pensate alle obbligazioni che propone banca etica. Fruttano magari meno di altre, ma vengono acquistate in brevissimo tempo. Perché chi le acquista sa che finanziano progetti di cui potrebbe aver bisogno anche lo stesso investitore, in futuro».
Il modello medioevale, ricorda il docente, «era più simile a quello attuale. Poi l’età moderna ci ha lasciato in eredità una società addormentata che si culla nell’illusione “ci pensa lo Stato”. È tempo che l’uomo postmoderno riapra gli occhi».