“Il cristiano che riflette sa che ad Auschwitz non è morto il popolo ebraico, ma il cristianesimo”: è un’affermazione provocatoria di Elie Wiesel. Ma quale cristianesimo sarebbe morto? E che cosa è il cristianesimo? Dove esso sta andando? Oggi, soprattutto di fronte alla crisi della cristianità e al fenomeno di società religiosamente pluraliste, l’autocoscienza cristiana è interpellata con domande radicali. Infatti per quasi due millenni l’identità cristiana è stata pensata e coltivata in contrapposizione a quella giudaica e in alternativa a qualsiasi altra religione del mondo. Ora ci si trova in difficoltà a definirla e a dirla in continuità con l’evangelo di Gesù.
In particolare, “caso serio” per il cristianesimo è prendere coscienza che Dio non ha sostituito il suo popolo con uno nuovo, la chiesa. Invece per secoli la cosiddetta “teologia della sostituzione” ha condizionato la costruzione del pensiero cristiano e tuttora pervade il nostro modo di leggere le Scritture e di interpretare la figura e il messaggio di Gesù. Condiziona il modo di concepire la chiesa e, di conseguenza, la stessa evangelizzazione e il nostro rapporto con il mondo contemporaneo. Siamo però di fronte a un falso postulato. Ciò che discende da false premesse resta compromesso, non può reggere. È allora questo il cristianesimo che muore ad Auschwitz. Ma, poiché di fatto continua a sopravvivere, si impone la necessità di superarlo.
È l’evangelo di Gesù che invece resta sempre vivo. Ma anche la sua interpretazione fin dagli inizi è stata inquinata dalla teologia della sostituzione. Pertanto oggi urge una rilettura critica della formazione della religione cristiana. Da dove partire? Il biblista e teologo evangelico Rendtorf, come altri studiosi, insiste sulla necessità di ripercorrere il cammino storico delle origini cristiane e dei processi che hanno determinato nei primi secoli l’antigiudaismo cristiano. Infatti i primi secoli del cristianesimo hanno forgiato la forma di religione che è giunta fino a noi. Essa è frutto dei processi di ellenizzazione e di costituzione di una christianitas. Non è però l’unica forma possibile. Non lo è stata ovunque e potrebbe non esserlo più oggi per noi. Non lo fu certamente alle origini.
Il cammino da noi intrapreso e intitolato: “Dall’evangelo di Gesù alla religione del cristianesimo” nasce proprio dalla consapevolezza che Gesù non ha inteso fondare una religione. Ci chiediamo pertanto come egli si posizionò, all’interno del suo popolo, rispetto alle diverse correnti religiose a lui contemporanee. E come da queste i suoi stessi discepoli furono influenzati sia nell’accogliere, sia nel trasmettere il suo messaggio. Non basta dire che Gesù e gli apostoli erano ebrei. Ci si deve chiedere quale tipo di giudaismo esprimeva la loro fede e in che cosa consiste la novità cristiana.
È noto che il ritardo della parusia e i vari processi di inculturazione della fede evangelica hanno fatto nascere l’esigenza di elaborare un’etica per la vita nel mondo. Ciò ha contribuito a dare all’evento cristiano la forma di una nuova religione con le sue pretese di assolutezza e universalità. In particolare il cristianesimo, divenendo la religione dell’impero, si è trovato a svolgere una funzione civile, certamente estranea all’ottica della predicazione di Gesù riguardante l’evangelo del regno. Questa funzione, malgrado i mutamenti della storia, determina tuttora le modalità con le quali le chiese si rapportano con la società. In particolare la cosiddetta “alleanza fra trono e altare” continua nelle varie forme di scambio e reciproci condizionamenti tra poteri terreni e istituzioni religiose.
Con il titolo “Regno di Dio e storia del mondo” intendiamo tematizzare questo nodo che appare strutturale, perché si ripropone in ogni stagione della storia. I tentativi di aggiornamento ecclesiale, per quanto spiritualmente fecondi, non hanno mai intaccato la forma della religione ereditata dai secoli della nostra cristianità europea. Allora una “riforma”, intesa come tentativo di dare una nuova ed evangelica forma al cristianesimo, risulta realisticamente possibile? In ogni caso, come pensare oggi per tempi di crisi della fede la figura del “cristiano adulto” nel suo rapporto con il regno di Dio e la storia del mondo?
Il recente fenomeno del pluralismo religioso e culturale comporta per il pensiero cristiano una tale “rivoluzione copernicana” da porre interrogativi rispetto ai quali il contributo degli storici delle origini e dei primi secoli del cristianesimo appare di grande importanza. Con studiosi, tra i più competenti e interessati all’attualità della ricerca storica, avremo i seguenti approfondimenti.
Il tema Regno di Dio e responsabilità umana sarà trattato da Gabriele Beccaccini (Università del Michigan, negli USA) relativamente alle origini: nel primo secolo del movimento cristiano. In tre momenti egli esaminerà aspetti fondamentali per capire il messaggio di Gesù e la sua ricezione nelle comunità delle origini:
1) Il Messia e il Regno di Dio in cielo e in terra: nei giudaismi del Secondo Tempio e nell’insegnamento di Gesù
2) Attesa escatologica e responsabilità umana agli albori del cristianesimo: Giacomo, Paolo, Pietro
3) Le nuove responsabilità determinate dal ritardo della fine, dalla distruzione del Tempio alla rivolta di Bar Kokhba.
In cerca di un’identità cristiana tra II e III secolo: così Enrico Norelli (Università di Ginevra) intitola le sue relazioni sulla fase storica che va dalle origini del movimento cristiano al secolo della cosiddetta svolta costantiniana. Non univoche furono infatti le risposte all’interrogativo su che cosa significa essere cristiani nella storia del mondo.
Di qui l’esame di tre modelli:
1) Figli di un Dio maggiore: le proposte “gnostiche”
2) Chiamati dal Creatore a essere responsabili del suo mondo: a quale prezzo? Le proposte degli apologisti
3) Fedeli a un Creatore che promette un mondo nuovo: le proposte delle apocalissi.
Remo Cacitti (Università degli Studi di Milano), che in due precedenti incontri a Milano (2 maggio e 20 giugno) avrà evidenziato il senso del nostro percorso storico, a Motta focalizzerà la svolta che si è determinata soprattutto nel IV secolo e che risulta decisiva per la forma di religione assunta dal cristianesimo fino ad oggi. Cacitti esaminando:
1) La politica ecclesiastica di Costantino il Grande
2) La elaborazione teologica di Eusebio di Cesarea
ci illustrerà L’officina della teologia politica con le sovrapposizioni tra “Cesare e Dio” che i connubi tra religione e impero, tra chiesa e società hanno creato e conservano.
Al IV secolo si riferisce anche la relazione che Cristina Simonelli (Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale) terrà su Ambrogio: prassi e immaginari a confronto e che accompagnerà con la presentazione nella “lectio” patristica di una figura “altra”: Vita copta di Aphu, testimone contro corrente.
Simonelli, che fa parte del “Coordinamento donne teologhe italiane” e vive in mezzo ai “rom”, ci parlerà anche di Donne e teologia oggi.
Valorizzando i risultati della ricerca storica che getta luce sulla questione dell’autocoscienza cristiana, la prospettiva del nostro percorso è in funzione del confronto con il pluralismo culturale e religioso dei nostri giorni.
Ad essa si riferiranno in modo esplicito gli interventi di Piero Stefani (Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale) nelle due “lectio” bibliche
1) Tutto Israele sarà salvato (Rm 11)
2) Il grano e la zizzania (Mt 13)
e in particolare nella riflessione su L’attesa del Regno nell’oggi del pluralismo religioso.
Nei lavori di gruppo, oltre a preparare domande da porre in assemblea ai relatori sul nesso tra questioni di ieri e questioni di oggi, si potranno discutere le note introduttive che Gianfranco Bottoni (Ecumenismo e dialogo, Diocesi di Milano) presenterà su: Crisi della cristianità e fede adulta. Esse verranno sottoposte ad una prima verifica critica durante la “tavola rotonda” conclusiva su: Il cristianesimo di fronte ad altre religioni