Dedico queste brevi linee alla cara e semplice memoria di padre Fausto Tentorio, missionario del Pime ucciso nella sua missione di Arakan. Con lui trascorsi alcuni giorni in quella missione durante la mia permanenza nelle Filippine. Padre Fausto era un uomo semplice e convinto della bontà dell’annuncio del Vangelo in difesa dei diritti dei più deboli, di quei Cablocos – nativi delle Filippine del sud – così minacciati dalle politiche dissennate di quanti vogliono arricchirsi sfruttando i più deboli e distruggendo la terra.
Trascorsi nella missione di Arakan Valley circa una settimana al termine dei miei studi presso l’Università del Salle a Manila: volevo sperimentare la vita di quei filippini che a Manila quasi non esistono e non contano, di quei nativi che mantengono tradizioni, lingue e cultura a rischio di estinzione, ma che vengono ignorati dal Governo perché poveri: troppo deboli per prendersene cura; troppo forti, invece, gli interessi di chi ha compensi da offrire in cambio dello sfruttamento della loro terra. Di quei giorni porto nella memoria il forte sapore del pesce salato, unico cibo accompagnato dal riso per colazione, pranzo e cena, e la bellezza dei villaggi adagiati nelle conche verdi dell’interno, visitati dal missionario a bordo di una moto o a piedi: terre isolate dalle piogge torrenziali e da fiumi che nutrono una natura rigogliosa, abitata da gente laboriosa e sorridente.
Come molti altri suoi confratelli, padre Fausto non si arrendeva a vedere quelle terre depredate e i suoi abitanti maltrattati con il silenzio connivente delle autorità governative. Padre Tentorio era un grande conoscitore di quelle antiche culture e delle loro lingue: se ne prendeva cura come suoi figli, conscio che erano sopravvissuti a secoli di dominio coloniale e alle ondate di migrazione interna dei coloni. Padre Fausto parlava con semplicità e tenerezza di quei popoli minacciati dalle multinazionali sempre assetate di nuove risorse naturali da sfruttare, di compagnie straniere sempre in agguato per comprare la terra e sloggiarne hli abitanti. Stava al fianco della sua gente, viveva con loro, dialogava con loro, formava in loro una coscienza critica per aiutarli a difendersi, a determinare il loro futuro.
La sua azione partiva dal rispetto della diversità, che spesso contrappone gli uomini per origini e tratti umani, e arrivava alla comunione, frutto del dialogo e dell’ascolto reciproco, via alla pace e strumento indispensabile alla convivenza civile. La prima parla dell’umanità fatta di pensieri, affetti, tradizioni ed educazione; la seconda è frutto della fede, dove l’umanità non viene cancellata, ma completata in ciò che di essa rimane imperfetto. La comunione è dono di Dio a chi si impegna a cercare nell’altro un fratello da apprezzare e rispettare. È ricerca sincera di ciò che ogni uomo porta in sè a prescindere dal suo credo; è disponibilità all’incontro con l’altro, libertà da pregiudizi che ne appannano il volto. La fede deve rimanere il primo approccio del cristiano con il diverso, certo che ciascuno porta in sé i tratti di Colui che ci è Padre e ci chiede di vivere da fratelli. Di questo padre Fausto dava testimonianza come cristiano e come prete.
La famiglia dei credenti, riuniti nell’unica Eucaristia della domenica, celebra e rinnova in parrocchia questo mistero, Padre Fausto, come parroco, lo sapeva bene e si spendeva per costruire tra i nativi quella stessa comunione. La sua missione è stata quella di dire a tutti che nessuno è solo o escluso. Venendo a Milano nell’inverno scorso e celebrando la Messa con i Filippini della Comunità Santo Niño che avevano adottato a distanza alcuni bambini della sua parrocchia, ci disse che anche la Chiesa di Milano – di cui era figlio – deve dire a tutti che il Padre ci vuole vedere fratelli, camminando con pazienza l’uno accanto all’altro, denunciando con coraggio ogni abuso e menzogna.