Lo spunto principale da cui partire per celebrare la prossima Giornata della solidarietà arriva da Papa Francesco. Nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, infatti, afferma: «La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto più di qualche atto sporadico di generosità» (EG 188). Il Papa poi aggiunge che si tratta di «creare una nuova mentalità» che pensi in maniera «comunitaria»: «La solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde» (EG 189).
Passaggi che mi hanno portato a propendere per provare a ri-flettere su questo termine “logorato”, allo scopo di evidenziare alcuni rischi presenti nel linguaggio comune. Cosa significa ripensare la solidarietà? Durante il tradizionale Convegno della vigilia, ci aiuterà la riflessione, sempre acuta e mai scontata, di Silvano Petrosino, filosofo della comunicazione e attento osservatore delle dinamiche sociali.
In primo luogo, quando parliamo di solidarietà, tutti noi abbiamo in mente l’instaurarsi della relazione. Credo però importante riconoscere come dietro al termine «relazione» possa in realtà celarsi la prima insidia alla costruzione di dinamiche solidali. Il rischio reale – che quotidianamente trova la sua realizzazione in tanti rapporti umani – è quello di «usare» le persone: è la tentazione del cercare gli altri in maniera meramente strumentale. Può accadere che si chiami solidarietà uno stile auto-centrato in cui, più che servire l’altro, ci si serve dell’altro per i propri interessi.
La sfida e lo stile con cui vivere la solidarietà è ben presente nella parabola di Gesù conosciuta come quella del «buon samaritano». Questo brano del Vangelo di Luca dice con forza e lucidità che la solidarietà ha sempre un volto concreto e ci viene chiesta mentre stiamo camminando per le nostre strade, senza avere programmato di esseri solidali. Il samaritano sta percorrendo una via e non ha assolutamente intenzione di «fare la solidarietà»; ma sulla strada vede un uomo ferito ed è toccato in profondità, al punto che si ferma e se ne prende cura. La cosa che stupisce è sapere che prima di lui altri due – un sacerdote e un levita – si erano trovati davanti alla stessa scena, ma erano andati oltre. La solidarietà non è affatto scontata, anche per noi cristiani!
A partire da questa parabola, individuo un altro rischio legato alla solidarietà: farla diventare una forma sofisticata di dominio narcisistico. Anziché lasciarsi toccare dal bisogno che s’incontra mentre si è affaccendati nella trama del vivere quotidiano, si possono cercare forme di solidarietà – studiate a tavolino – tese a creare rapporti di sopraffazione. Proprio Silvano Petrosino vede nella figura del medico filantropo Sir William, descritto sapientemente da Virginia Woolf in Miss Dalloway, un capovolgimento dei termini, ovvero la solidarietà che diviene quell’idolo per eccellenza che è il potere.
Infine, credo sia tempo propizio a tutti noi per fare un elogio delle parole scritte con la minuscola. Anche la solidarietà è uno di quei termini che hanno una sua forza se vissuti senza enfasi. Oggi amiamo pronunciare frasi del tipo: «Vogliamo costruire una Politica con la P maiuscola», oppure «La società ha bisogno di ritrovare la logica del Dono, con la D maiuscola». Politica, Dono, Amore, Bene e anche Solidarietà sono termini usati con retorica, ma col pericolo che la maiuscola faccia rima con astrattezza. Invece il senso del convegno che vivremo sabato 8 febbraio è quello di mostrare come vi sia uno stile solidale che non fa notizia, ma innerva il vivere quotidiano e rende più bella la società. Vissuta così, «la solidarietà diventa uno stile di costruzione della storia» (EG 228).