Ci aspetta un grande sforzo educativo. Non sarà impresa facile. A una Fondazione culturale spetta di dare il proprio contributo alla crescita della comunità. Il Rapporto Ambrosianeum è l’esempio di un impegno di studio, volto a cogliere e sottolineare le cose importanti e significative, a leggere le trasformazioni e a ordinarle secondo una scala di valori, in modo da disporre degli strumenti per gestirle e guidarle intelligentemente.
Non si fa cultura se non si lavora nella storia e per la storia, se non si nutre la consapevolezza che o si ha una visione complessiva delle stagioni della vita e del corso delle generazioni, o non si va da nessuna parte. Scrive Sant’Agostino: «I tempi sono tre: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro». Ecco: noi siamo lì, nel bel mezzo. Noi siamo il tempo. La coscienza della dignità e della portata della nostra presenza, la coscienza dei valori che abbiamo ricevuto e delle mète verso cui rinnovare e dirigere i nostri sforzi alimenta la speranza, sollecita a volare alto, ad avere nuovi sogni, a trasformare le immagini interne in tensione di vita, a costruire progetti che magari non riusciremo noi in prima persona a realizzare, ma che sappiamo altri raccoglieranno: è la vita, è la vicenda umana, è il progetto di Dio sul mondo cui siamo chiamati a collaborare. (…)
Come cristiani siamo ormai socialmente minoranza. Chi nella Chiesa ha ricordato tale condizione è stato guardato con sospetto e fastidio. È la vecchia ideologia in base alla quale numero è sinonimo di potere e di forza. La povertà, che sin dal giorno dell’elezione Papa Francesco ha sottolineato essere la ricchezza da cui i cristiani traggono ispirazione ed energia per portare l’annuncio del Vangelo al mondo, è un’indicazione di marcia per chi opera nella cultura. Si può attingere alla fonte di una fede purificata e vivere quindi con slancio e speranza rigenerati, sentirsi “chiamati” di persona, tesi a “rispondere” (la responsabilità è questa: respondere), a dire un sì o un no con la vita non solo a parole, rendendo testimonianza della speranza che è in noi, provando a essere sale della terra, lievito, granello di senape, piccolo gregge, città sulla roccia, scoprendo nel nostro intimo e nella tradizione cose nuove e cose antiche. Quando si è coscienti della forza della debolezza si è provocati a mettere a frutto i propri talenti, non si inseguono i successi, non ci si bea di prerogative, non ci si adorna di preziosi segni distintivi, non si misura la validità delle idee in base ai privilegi che il mondo può concedere.
Le tante difficoltà che dobbiamo affrontare e le insufficienti risorse economiche di cui oggi disponiamo fanno intravedere in controluce e mettono in risalto quanto sia necessario lo spirito di servizio. L’espressione è stata spesso banalizzata o equivocata; spesso l’abbiamo spesa male, in modo inautentico. Ma non sarà certo un cattivo uso a privarla del significato più genuino e a dissuaderci dall’insistere sulla necessità che lo spirito di servizio venga messo al centro di ogni proposito di cambiamento. Servire è uno status, un modo di porsi; è sentirsi e mettersi a disposizione; è il dare in sé, prescindendo da ciò che ti può venire di ritorno. Ecco, senza “gratuità” non c’è politica, non c’è cultura, perché non c’è relazione vera.
La “cultura del dono” è la naturale alternativa alla “cultura dello scambio”. Il do ut des è sintomo di degenerazione nei rapporti, sta alla base di quella piaga umana e sociale prima che economica che è la corruzione. Leggi severe, che puntino sulla prevenzione, neutralizzino meccanismi, eliminino le zone di opacità del sistema decisionale pubblico in cui trovano terreno fertile comportamenti delittuosi, sono importantissime. La politica ha ancora molto, ma molto da fare se intende contrastare davvero i fenomeni corruttivi. Ma non illudiamoci che una normativa più severa sia capace di per sé di fermare il degrado. Come non sono sufficienti competenze e abnegazione della Magistratura e delle Forze dell’Ordine.
Ci vuole una mentalità rigenerata, una moralità pubblica e individuale da condividere. Questa, siamo noi a formarla coltivando grandi ideali e compiendo piccoli gesti quotidiani. Un impegno generoso porterà il frutto di nuove classi dirigenti. Diversamente sarà il declino. Gli eventi politici a livello nazionale e lombardo di questi mesi sembrano suonare la campana dell’ultima chiamata. Ma anche la cupezza che verrebbe naturale ci fa sentire di conforto un’espressione severa di Papa Francesco: «Una vita senza sfide non esiste, chi non le affronta è senza spina dorsale».