«In questa Santa Messa vogliamo avere nel cuore e nella mente la tragedia di Parigi, coloro che hanno perso la vita ei loro peranti: Abbiamo nel cuore tutto il popolo francese perché questo efferato delitto va contro tutta l’umanità. Pregare non è qualcosa di sentimentale, ecco perché sono grato anche a quanti, non credenti, hanno accolto il nostro appello. Pregare è stabilire una relazione con Dio Padre, una relazione dentro la quale possiamo avere una visione più chiara dei rapporti tra noi, tra i popoli, comprendere meglio ciò che ci sta accadendo, perche questi fenomeni stanno assumendo un’ampiezza che durerà abbastanza a lungo nel tempo. Ma, soprattutto, pregare ci consente di entrare in azione, assumendo responsabilità. Non dobbiamo rispondere a questo oltraggioso e vile atto, con odio o con paura, seppure comprensibile, perché come cristiani, figli di Uno che ci ha detto: “ non abbiate paura”. Dunque, non sentimenti di odio, di vendetta, ma di impegno deciso per la verità dei rapporti tra uomini e popoli, la costruzione di una pace reale della famiglia umana e il risveglio dell’Europa di cui tutti sentiamo il bisogno». Si apre così, in un Duomo, venato di dolore e sgomento l’Eucaristia della prima Domenica di Avvento presieduta dal cardinale Scola. Tempo di Avvento che fa desiderare la venuta di Gesù, come “rugiada dall’alto”, «perché faccia fiorire il deserto della nostra vita e di quella della famiglia umana». E, in questo desiderio, tempo, tuttavia, di speranza e di attesa, chiedendo una coscienza rinnovata della fede e una tensione a praticarla.
Si apre l’Anno liturgico secondo il Rito ambrosiano e la voce dell’Arcivescovo, nella Cattedrale dove i fedeli sono migliaia e migliaia, si alza forte e chiara, in un momento di dolore per le tragedie accadute, per il martirio senza fine di cristiani, ma anche di salda fiducia nella venuta del Signore.
Venuta che segna, non a caso, tutta la Liturgia della Domenica che si sta vivendo, intitolata, appunto “La venuta del Signore” e che indica l’essere sempre e comunque in relazione con Dio, «che chiama l’io, gli dà un compito, lo accompagna, lo sorregge, se, del caso, lo corregge, ma che sempre lo aspetta. Un cammino verso il compimento finale lungo il quale Gesù non cessa di venirci incontro, quand’anche fossimo precipitati nel buio più pesto».
Esiste, infatti, un senso finale del tempo – «questo è il centro di gravità del discorso escatologico del Vangelo di Luca», appena proclamato – reso certo dalla venuta ultima di Cristo, «il fine e la fine del cosmo e della storia». E se, da qui, emerge una visione consolante della storia stessa che, nota l’Arcivescovo, «si chiude perché Cristo ritorna, non per gli avvenimenti, per quanto duri apocalittici, che in essa si svolgono», è da una tale consapevolezza che nasce anche «l’atteggiamento con cui vivere il presente nelle circostanze gravi».
Quindi, non «l’angoscia di popoli in ansia», ma un’attitudine interiore dinamica, di attesa e di speranza, deve essere quella che qualifica il cristiano, specie «in questo momento in cui la nostra Europa è chiamata a risollevarsi, a mostrare la dignità di ogni membro delle nostre famiglie europee e la bontà dell’umana convivenza».
Chiaro il monito per ciascuno, espresso ancora attraverso la pagina evangelica di Luca, “Risollevatevi e alzate il capo”: «La fine del mondo non sarà dovuta a catastrofi apocalittiche, ma al ritorno glorioso di Gesù».
Una Parola di Dio, quella della prima Domenica dell’Avvento di questo anno, che pare ritagliata sul presente, con il profeta Isaia e San Paolo agli Efesini – «L’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono» – e che spinge il Cardinale a dire: «non dobbiamo nascondere queste pagine della Scrittura, dentro una sorta di religiosamente corretto, di buonismo». Occorre invece, «sapere che l’esperienza della prova fino alla persecuzione – non dimentichiamo che l’Islam integralista ed estremista identifica l’Occidente con il Cristianesimo – va vista in relazione a tre fattori decisivi per la speranza dei credenti». La testimonianza, l’assicurazione del sostegno del Risorto e la garanzia della salvezza che Cristo ci ha portato.
«Fattori che rendono possibile quell’aspetto decisivo della vigilanza, richiamataci dall’Avvento, che è la paziente fedeltà del nostro sì a Cristo e, comunque, alla nostra coscienza rettamente istruita».
E questo perché appunto «l’Avvento ci richiama a prenderne coscienza e a conformarvi la nostra esistenza. In questo modo potremo collaborare all’edificazione della civiltà dell’amore nell’odierno contesto della società plurale». Soprattutto se si pensa all’imminenza dell’apertura del Giubileo dedicato alla Misericordia.
Misericordia corporale e spirituale: «Non riduciamo l’invito che Gesù ci rivolge nell’odierna liturgia della Parola a slancio individuale e sentimentale, magari a una prima reazione emotiva. Pratichiamolo. Visitiamo gli ammalati e ammoniamo i peccatori, senza ergerci a giudici degli altri, perché per ammonire i peccatori vuol dire riconoscerci tali noi per primi. Questo è necessario nelle nostre comunità cristiane e, analogamente, nella nostra società civile, fatte le debite distinzioni. Un atteggiamento di “confessione” caratterizzi ogni nostra assemblea ecclesiale, ogni nostro incontro, ogni nostro servizio ed iniziativa. Come cambierebbe il nostro modo di stare insieme se partissimo dal riconoscimento del peccato e lo confessassimo davanti a Dio e agli altri. Chiediamo, in questo tempo di attesa, coscienza rinnovata della nostra fede e una tensione a praticarla».
Infine, il ringraziamento è per l’Azione Cattolica, presente con la presidente, l’assistente ecclesiastico generale, monsignor Zappa e tanti aderenti; per Alleanza Cattolica e per il Movimento Lirturgico che hanno animato la Celebrazione.
Il sorriso è tutto per i cresimandi di Vedano al Lambro, che, emozionatissimi, posano per una foto di gruppo con «lui che è il nostro Vescovo», come spiega alla giornalista, uno dei più piccoli.