«Al saluto liturgico di questa Celebrazione, si aggiunge quello di un rendimento di grazie».
Le espressioni di benvenuto del superiore della Regione Italiana del Pontificio Istituto delle Missioni Estere, padre Carlo Tinello, danno voce ai sentimenti di tutta la Comunità di una trentina di religiosi, riunita nella chiesa San Francesco Saverio, presso la storica sede milanese del Pime stesso, per la visita del cardinale Scola. Che giunge al termine dell’anno dedicato al fondatore, padre Angelo Ramazzotti, per presiedere la Messa, concelebrata dai Padri, animata nella liturgia, dai sei giovani seminaristi dell’Istituto, i quali proprio ieri, in Duomo, l’Arcivescovo ha ordinato Diaconi, e di fronte a tanti fedeli, alle Missionarie dell’Immacolata e all’Associazione dei laici del Pime.
«Lei, per noi è un segno che ci mette in relazione con il nostro fondatore e ci guida in questa Chiesa ambrosiana, dove molti noi operano, dove abbiamo un seminario, dove torniamo spesso malati», aggiunge padre Tinello, che conclude: «Nessun carisma è personale. Se vissuto in maniera cristiana diventa subito comunitario. Il nostro è carisma di fondazione che ci lega alla missione ad gentes. Nella Chiesa e con la Chiesa, Lei, Eminenza, segno di pastoralità, ci indichi il domani, un futuro di Vangelo, di speranza, futuro che Dio ci dona».
E sono molte le ragioni che avvicinano la biografia dell’Arcivescovo a quella del servo di Dio, Ramazzotti: nativi delle terre ambrosiane ed è entrambi divenuti Patriarchi di Venezia. Lo sottolinea il Cardinale stesso: «Tanti elementi legano la mia vita al Pime e al suo fondatore e rendono particolarmente commossa la mia partecipazione alla conclusione dell’anno dedicato a monsignor Ramazzotti».
«Il vostro compito è significativo e molto aderente al cambiamento dei tempi nella realtà della Chiesa universale e nel legame forte alle Chiese locali in cui operate».
Il pensiero è a san Giovanni XXIII, che «ancora giovane rimase colpito dall’iscrizione che i Padri Oblati di Rho (cui Ramazzotti apparteneva) posero in sua memoria nel Santuario dell’Addolorata: «Ho fatta in me profonda e schietta la convinzione che davvero il titolo di santo gli convenga e, a mio sommesso parere, di santo all’altare».
Considerando che fu proprio Roncalli, a sua volta, patriarca di Venezia, a volere la traslazione delle spoglie del fondatore nella chiesa, l’Arcivescovo nota: «San Giovanni XXIII comprese la santità di carismi di Ramazzotti che ora chiedono a voi di essere reincarnati e quindi trafficati, perché tutti i Santi ci chiedono una sequela che non è intimistico slancio rispetto a figure che ci sorprendono, ma che è, appunto, trafficare la loro eredità. Siamo convinti che questo anno di riflessione sulla sua figura darà come primo frutto il riconoscimento delle virtù, ma occorrerà accompagnarne il cammino fino ala Canonizzazione. Da questo punto di vista, il Servo di Dio continua con la sua testimonianza a parlare ai suoi – voi – ma anche a tanti nelle diverse parti del mondo».
La Parola di Dio aiuta, così, nella riflessione omiletica, a entrare nella fisionomia del carisma ramazzottiano.
«Lo “Shemà Israel” indica, partendo dalla Toràh, il Dio dell’incarnazione che si è giocato con l’uomo. Quindi, o la relazione con Lui è quotidiana o è vanificata. Questa è la a tradizione che nasce dalla fede ebraica e cristiana, ma questo è il grande e vero problema, oggi: la frattura tra fede e vita». La “fatica” è quella di passare da un cristianesimo per convenzione a uno per convinzione.
«La crisi della famiglia che, a ben vedere, è più crisi della coppia, è frutto di tale mancanza della
mens di Cristo con cui affrontare ogni momento dell’esistenza quotidiana. Dunque, occorre un coinvolgimento di libertà che è anche coinvolgimento che sia cum-passio, “saper patire con”, come ci ha richiamato il Vangelo del Samaritano».
Dall’Epistola, invece, nasce la spiegazione della «logica sacramentale dell’incarnazione» e della sua decisività per l’unità dell’esperienza personale e comunitaria, «perché se l’una manca, anche l’altra non funziona».
«Il nostro tempo non riesce a collegare l’amore al dovere come invece suggerisce Paolo. Si è perso il senso dell’amore autentico che è “per sempre” e il legame tra l’amore e l’agape. Una rottura per cui l’amore diviene ‘libertino’ e l’altro è strumento di piacere. Ecco che allora la testimonianza cristiana, che lascia essere l’altro in quanto altro, nella sua differenza e nelle sue diversità diviene compito».
«La vostra esperienza missionaria, con la sua lunga fila di martiri, che cosa è se non amare l’altro per l’altro, affrontando l’esistenza come martiri della pazienza e dono totale della vita. Comprendiamo bene così anche il concetto di prossimità, prendendo l’iniziativa di essere noi stessi prossimo, come, non a caso, insegna la missio ad gentes, anticipata con largo anticipo da Ramazzotti».
A questo punto, il ricordo personale di Scola si fa indicazione ampia, rivolta a ciascuno: «Tutti abbiamo nel cuore e siamo colpiti dalla vostra testimonianza. Io stesso, in quarta elementare, ascoltando un missionario nella mia parrocchia a Malgrate, volevo partire. Siete importanti per il bene della Chiesa ambrosiana e della Chiesa universale. Aprendovi a tante vocazioni provenienti da luoghi lontani, mantenete salda la vostra tradizione».
Infine, dopo la liturgia eucaristica, a prendere la parola è il superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca, che dice: «Con questa Celebrazione, abbiamo voluto ricordare la morte del fondatore che speriamo di vedere, entro la fine dell’anno, Venerabile. Abbiamo promosso iniziative di vario genere, ma soprattutto una seria riflessione sul nostro carisma, in questo anno celebrato anche in India, segno che ormai l’Istituto è veramente internazionale. Se noi missionari sapremo vivere con serenità e ringraziare il Signore come padre Nelson (un missionario dell’India, appunto, ancora giovane, eppure molto malato), sarà tutto ciò che potremo desiderare, prima del miracolo del nostro fondatore che comunque attendiamo tenacemente».
E, alla fine, nella sera che scende tra gli affollati portici ottocenteschi della Casa Madre, la benedizione da parte del Cardinale del busto marmoreo di Ramazzotti, nella corona di quelli dei Padri beati, di origine lombarda, del Pime.