Per il sesto anno consecutivo il cardinale Scola, nella mattina dell’ultima domenica di Avvento, varca le porte dell’Istituto “Palazzolo”, storica struttura milanese fondata nel 1938, dal 1998 parte della “Fondazione Don Carlo Gnocchi” e oggi presidio di eccellenza della cura degli anziani, delle lungo degenza e di complesse patologie degenerative.
La Celebrazione
Tanti gli ospiti che, con operatori e parenti, attendono l’Arcivescovo nella grande chiesa interna all’Istituto, dove l’Arcivescovo presiede l’Eucaristia, radiodiffusa anche nei vari reparti. Concelebrano il neo-presidente della “Don Gnocchi”, don Enzo Barbante, il suo predecessore in questa carica, monsignor Angelo Bazzari e il decano del Decanato “Cagnola”, don Carlo Azzimonti. Ci sono il direttore dell’Istituto, Roberto Costantini, le Suore Poverelle fondate proprio dal beato Luigi Palazzolo e le religiose della Carità che le affiancano da qualche anno, il presidente della sezione di Milano dell’Associazione Alpini, Luigi Boffi. Non manca il personale sanitario e amministrativo, che proviene da ben quaranta diversi Paesi del mondo come ricorda, nel suo saluto iniziale, il cappellano, don Carlo Rasi.
«Questa tradizione natalizia, iniziata dal cardinale Martini, rappresenta, per l’Arcivescovo di Milano la vera porta di ingresso nel Santo Natale e di questo vi sono grato», spiega, in omelia, il Cardinale.
«Che la domenica prima di Natale io possa incontrare chi è al termine della vita, è un segno di quella capacità di generare amore di cui ci parla, oggi, il passaggio di san Paolo nella Lettera ai Filippesi che dice, attraverso qualunque condizione, “siate sempre lieti nel Signore”».
Il discorso si rivolge direttamente ai degenti, «siete degni di amore e lo siete di più di chi è ancora energico nella vita. Siate amabili, perché amati e, quindi, lieti, perché il Signore è vicino. Dio ha scelto di amarci incarnandosi, divenendo uno come noi, attraversando le nostre gioie, speranze e dolori e anche il nostro peccato che ha preso su di sé, inchiodandolo al palo della Croce. La preghiera e l’offerta di amore è tipica di questa Casa – ricettacolo della bontà e della Misericordia di Dio – dove persone pur provate, pregano il Signore».
Da qui, una prima consegna indicata anche agli operatori: «Restate fedeli al Rosario e alla preghiera». La seconda indicazione nasce dal riferimento alla pagina evangelica di Luca dell’Annunciazione. «Il vertice della fede è l’adesione all’iniziativa di Dio. Così fu per Maria – la “Serva del Signore” – e così deve essere, ogni giorno, per tutti, specie per voi nell’offerta delle fatiche e delle sofferenze. Non dobbiamo dimenticare che siamo nelle mani di Dio, che ciò che ci avviene, viene da Lui e che non finiremo con la morte, perché andremo nelle braccia, intense di amore, del Padre».
«In questo Natale vogliamo pregare per tutti i nostri fratelli, per i tanti cristiani che subiscono il martirio in Medio Oriente, in Africa; per gli esclusi e coloro che, anche nella nostra grande Milano, non hanno posto per dormire al caldo, per tutti noi che diciamo “sì” alla volontà di Dio».
Poi, il lungo scambio della Pace. portato dall’Arcivescovo a ogni malato, e la presentazione dei doni confezionati dai degenti stessi.
Gli interventi di monsignor Bazzari e don Barbante
Infine, la parola passa a monsignor Bazzari, dal 1993 alla guida della Fondazione: «Con il cuore ingolfato da pensieri, ricordi, volti, dico grazie al Signore e a tutti coloro che, in questi anni, mi hanno aiutato a interpretare le volontà, i sogni di don Gnocchi e le sue cambiali da onorare. Oggi, se la Fondazione ha un respiro vasto e una nomea elevata, ciò è dovuto a tutti i suoi operatori, che nella rete del territorio e nel silenzio dei nostri Centri, hanno dato il loro contributo. E, soprattutto, grazie a coloro che abitano le grandi praterie della sofferenza, dal dolore innocente a quello delle diverse epoche della vita».
L’augurio al successore è «di guardare sempre avanti, utilizzando la lente di ingrandimento sull’attualità».
Espressioni a cui fa eco don Barbante che evidenzia il senso della Presidenza come «responsabilità e dono. Nella mangiatoia e alle porte di Gerusalemme vediamo l’asinello che porta Gesù in mezzo agli uomini. Mi riprometto di fare lo stesso, riattualizzando quello che i beati Gnocchi e Palazzolo hanno fatto. Mediare tra la fede e la vita è bello e possibile». La scelta dell’avvicendamento, da lui deciso, viene illustrata dallo stesso Scola: «Ho voluto che una persona si assumesse, a tempo pieno, la responsabilità di approfondire il carisma straordinario di don Gnocchi che ha una forza cattolica in tutte le Chiese del mondo. Per questo, anche in segno di gratitudine, ho nominato don Angelo Incaricato Arcivescovile per approfondire, studiare e far conoscere l’opera del Beato, soprattutto rispetto al dolore innocente, cosa di cui abbiamo un grandissimo bisogno, perché sono ancora molti coloro che fanno obiezione a Dio di fronte, appunto, al dolore innocente. Pertanto, don Bazzari non lascia l’opera, ma si impegnerà su questo versante che reputo decisivo».
Dalla Chiesa si va nei reparti – anche in quello degli Stati vegetativi – in cui il Cardinale sosta brevemente per una preghiera e la benedizione natalizia.
L’incontro con i vertici della Fondazione
Infine, il momento con i membri del Consiglio di Amministrazione e i vertici della Fondazione. Marco Campari, consigliere delegato, sottolinea il Piano di rientro economico attuato con un profondo risanamento ancora in corso e che ha portato a chiudere praticamente l’intera operazione con un due anni di anticipo rispetto alla data prevista del 2019. Fondamentale anche il raggiungimento dell’equilibrio del Bilancio per il 2016 e la promozione di innovazione specie nella robotica per la riabilitazione degli arti. Il Direttore del “Palazzolo”, da parte sua, nota i “numeri” della struttura che conta ben 35 ultracentenari e richiama la cura portata a casa dei malati con la presa in carico di più di 1000 persone.
A concludere, dopo ancora un breve ringraziamento di don Barbante – «qui si gioca tanto della credibilità anche dalla Chiesa» –, è l’Arcivescovo.
«La delicatezza e l’amabilità con cui siete vicini a questi pazienti, l’intelligenza organica con cui state operando, vi permette di non concepire più l’assistenza come un ricovero, ma come una trama di relazioni, sostenute da pluricomptenze, amore, visione di fede. Questa è l’unica strada per corrispondere alla, forse, troppo alta autoaffermazione di noi stessi. La vostra non è ricerca astratta, ma l’intelligenza creativa che esalta la dignità della persona. Vi incoraggio a camminare energicamente in questa direzione, abitando il conflitto inevitabile della realtà contemporanea. La professionalità da sola non basta, serve il senso di ciò che si fa. La ragione è amare Gesù e trasformare in azione vivente questo amore, ossia tenere viva la ragione d’essere dell’Istituzione che è, per chi la guida, il senso ecclesiale senza mai escludere nessuno».