Nell’ambito dei festeggiamenti di Calendimaggio in onore di san Pietro Martire, il seminario di Seveso, in collaborazione con l’associazione Iubilantes e l’associazione Amici dell’Arte di Meda, ha invitato il professor Grado Giovanni Merlo, ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università Statale di Milano, per una lezione su Pietro da Verona.
Proprio nel luogo che custodisce la memoria del frate domenicano, cui è dedicato lo stesso Seminario e l’attiguo Santuario, lo studioso ha voluto soffermarsi sulla vicenda umana del Santo, di cui poco si conosce e soprattutto sulquadro storico in cui si inserisce il suo assassinio, ovvero quello dei movimenti ereticali che nel XIII secolo sconvolsero l’Europa Occidentale.
Nominato inquisitore dal Papa per la sua straordinaria capacità di predicazione, il frate domenicano, originario di Verona ma attivo a Milano, mise ben presto talmente in difficoltà gli eretici lombardi che questi decisero di farlo tacere per sempre. Così, il 6 aprile 1252, mentre Pietro si stava recando da Como a Milano, nei pressi di un bosco a Barlassina venne assalito da un sicario il quale lo colpì violentemente alla testa con un falcastro (un grosso coltello ricurvo) ferendolo mortalmente.
«L’aspetto singolare di questa vicenda- ha detto il professor Merlo- è che Pietro salì agli onori degli altari in tempi rapidissimi, a meno di un anno dalla morte, per questo dobbiamo chiederci quali motivazioni storiche siano all’origine della sua canonizzazione».
Una risposta si trova nella stessa lettera di canonizzazione emessa da papa Innocenzo IV. «Non è stato santificato l’inquisitore- sottolinea il professore- ma il martire per Gesù Cristo, soprattutto per il fatto che la sua morte aveva provocato un numero notevole di conversioni, molti infatti furono gli eretici che tornarono nell’alveo della Chiesa romana».
Ecco allora una prima spiegazione della canonizzazione di Pietro da Verona: l’inquisitore che reprime diventa l’agnello sacrificale e il modello di redenzione da seguire. Molti eretici, soprattutto catari, si convertirono e entrarono a far parte degli ordini religiosi detti “mendicanti” o “frati predicatori”, come lo erano i domenicani, anzi Innocenzo IV abolì l’anno di noviziato per i convertiti.
Un secondo aspetto sul quale il professore ha voluto soffermarsi è stata la nascita dell’Inquisizione all’interno degli scontri di potere tra papato e impero, in particolare tra Innocenzo IV e l’imperatore Federico II di Svevia, che morì qualche anno prima dell’assassinio di Pietro da Verona.
«Dobbiamo lasciarci alle spalle la letteratura neogotica sugli inquisitori, che li trasforma in una sorta di leggendari detective- ha spiegato Merlo- ed è un errore pensare che l’Inquisizione sia stata istituita dalla Chiesa romana semplicemente perché spaventata dagli eretici, dobbiamo infatti inquadrarla all’interno di un preciso progetto politico, secondo il quale il papato doveva essere riconosciuto come unico vero potere all’interno della cristianità».
La stessa costruzione nella basilica di Sant’ Eustorgio a Milano dell’arca per conservare il corpo del Santo fa parte di un progetto politico. «La figura di Pietro da Verona – conclude il professore- servì ai Visconti, all’interno della cui famiglia c’era stato un Vescovo inizialmente non riconosciuto dal Papa, per ricongiungersi con la Chiesa romana, attraverso i frati predicatori».