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Intervista

«Rimango ad Aleppo con il mio popolo
che sta soffrendo»

Georges Abou Khazen non ha potuto lasciare la città del nord della Siria, da mesi sotto l’assedio delle milizie anti-Assad. Oggi avrebbe dovuto partecipare ai lavori romani della Celra (Conferenza dei vescovi latini delle Regioni arabe)

di Daniele ROCCHI Agenzia SIR

17 Settembre 2013

Le tensioni in Medio Oriente, in Siria in modo particolare, e le ultime iniziative previste per l’Anno della fede e per il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II: sono alcuni dei temi al centro dei lavori della Celra, la Conferenza dei vescovi latini delle Regioni arabe, la cui assemblea si apre oggi a Roma (fino al 20). Tra i partecipanti mancherà il padre francescano Georges Abou Khazen, Amministratore apostolico del Vicariato apostolico di Aleppo che non ha potuto lasciare la città del nord della Siria, isolata da mesi sotto l’assedio delle milizie anti-Assad. In occasione dell’assemblea, il francescano fa il punto della situazione umanitaria in città e nel Paese.

Padre, lei doveva essere oggi in Vaticano per l’assemblea della Celra, dove si parlerà anche di Siria. Ma l’assedio cui da mesi è sottoposta Aleppo, sua città, le ha impedito di partecipare…
È così. Partire da Aleppo sarebbe stato, in qualche modo, possibile attraverso strade poco praticate e controllate ma sarebbe stato, poi, impossibile rientrare. Ho scelto di rimanere anche per non lasciare questa gente da sola. Il momento, infatti, è drammatico.

Qual è la situazione attuale ad Aleppo, città-martire, simbolo di questo conflitto?
Si combatte aspramente. Quasi tutte le periferie sono controllate dalle forze dei ribelli, mentre il centro città e la parte nuova è nelle mani dell’esercito regolare. Gli abitanti hanno bisogno di tutto, a cominciare dal pane quotidiano che non è sufficiente. Si registra mancanza di energia elettrica e di acqua. In tantissimi sono rimasti senza lavoro e non hanno di che sfamare le loro famiglie. I generi alimentari che entrano di contrabbando hanno prezzi elevatissimi. Dobbiamo aiutare queste famiglie, cristiane e musulmane, in qualche modo e lo facciamo con le derrate che riceviamo da tante associazioni come le Caritas, ong come Ats (Associazione Terra Santa) e Jesuit Refugee Service, la Fondazione Giovanni Paolo II ed anche la Cei.

Il 15 settembre si sono riaperte le scuole. Un segnale di speranza in una situazione così difficile?
È un segno di vita per la popolazione siriana, un piccolo, timidissimo segno di normalità, nonostante tanti istituti siano stati distrutti, occupati da profughi, saccheggiati. Le strutture che hanno potuto… hanno riaperto i cancelli, ma non si può dire quanti alunni siano presenti e quanti siano andati via con le loro famiglie.

Un altro segnale di speranza, più consistente, sembra essere anche l’accordo a Ginevra tra Russia e Usa sull’arsenale chimico di Assad che pare abbia scongiurato l’attacco americano. Cosa pensa a riguardo?
Io credo fermamente che questo accordo sia giunto grazie anche all’intervento e alle preghiere di Papa Francesco come anche a quelle del mondo e ai digiuni della gente. Sono certo che la riconciliazione in Siria sia possibile a patto che non ci siano interferenze militari esterne che non fanno altro che alimentare divisioni. Prima in Siria queste non esistevano oggi invece… Nessuno, prima della guerra, chiedeva all’altro di che fede era, si metteva tutto in comune e ci si aiutava senza nessuna difficoltà. Oggi assistiamo a violenze, morti, rapimenti, abusi. Immaginate, inoltre, come si senta frustrato quel padre che arrivato a sera senza poter lavorare non ha di che dare da mangiare ai suoi figli. E sono decine di migliaia le persone in questa condizione.

Davanti a tutto ciò come reagisce la gente? È rassegnata oppure segue le vicende sui negoziati e cerca di approfondire quanto sta accadendo?
La popolazione è molto stanca, chiede un cessate-il-fuoco, la pace, la sicurezza, la stabilità. Non armi. Molti partono, ma c’è anche chi vuole tornare nelle proprie case, alla propria terra, tornare a vivere insieme. Non sono rassegnati e chiedono la pace. Hanno bisogno di pace. Solo la pace potrà, infatti, dare loro tutto ciò di cui hanno bisogno, non ultimi gli aiuti materiali necessari a vivere. Per questo seguono le notizie riguardanti il loro Paese. Per tutti loro, per la gente di Siria, vorrei fare un appello al mondo….

Quale, Padre?
Non abbandonate la Siria ed il suo popolo. L’abbraccio di preghiera, di digiuno e di solidarietà concreta, lanciato da Papa Francesco, non cessi di stringerci e di farci sentire amati. Abbiamo bisogno della solidarietà di tutti. La preghiera sostenga anche i responsabili che hanno il potere a prendere decisioni coraggiosi e faccia capire alle potenze straniere che non abbiamo bisogno di armi ma di stabilità, sicurezza e stabilità. Preghiamo anche per i due vescovi e i due sacerdoti rapiti e per padre Dall’Oglio, dei quali non si hanno più notizie.