Gli ingredienti per un’appassionante art-story ci sono tutti. C’è un pittore di talento, sfuggente, misterioso, nato attorno al Lago di Costanza e di lingua tedesca, ma chiamato alla metà del Quattrocento a lavorare tra Liguria e Lombardia. C’è un dipinto su tavola bellissimo e pressoché sconosciuto, insolito per l’ambiente milanese eppure certamente “ambrosiano” per riferimenti e collocazione. E c’è un sottile, eppure resistente filo rosso che lega la cistercense abbazia di Chiaravalle con una chiesa domenicana di Genova, passando per un oratorio monastico a Brugherio, là dove la tradizione già indicava la presenza delle reliquie dei Magi…
Ma è necessario procedere con ordine. E partire dalla magnifica pala d’altare, di circa un metro e mezzo per lato, che dal prossimo 6 febbraio sarà eccezionalmente esposta al Museo Diocesano di Milano, prima di partecipare, dalla metà di marzo, alla grande mostra che sarà allestita a Palazzo Reale sull’arte lombarda al tempo dei Visconti e degli Sforza. Un vero evento, se si considera che l’opera, di straordinaria qualità pittorica e dal raro tema iconografico, viene per la prima volta presentata al pubblico, essendo oggi di proprietà privata (pur essendo auspicabile, per l’immediato futuro, una collocazione in una raccolta pubblica, magari proprio milanese…).
Al centro della tavola si staglia la potente figura di Cristo, recante i segni della Passione, gli occhi socchiusi, la testa reclinata come sulla croce nel momento del trapasso. Ma nulla del genere si è mai visto, probabilmente, a sud delle Alpi. Inaudita, in particolare, è quella mano destra che si alza a toccare la ferita del costato, come a volerla mostrare con particolare evidenza (in un gesto che, in terra lombarda, ricordiamo ripetuto soltanto nel Cristo con i simboli della Passione e san Francesco del Crivelli al Museo Poldi Pezzoli, seppur in un altro contesto).
Qui il Cristo si rivela come Uomo dei Dolori, ma in un’immagine decisamente diversa rispetto alle Pietà veneziane pressoché contemporanee del Bellini, e che rispecchia invece l’iconografia germanica dello Schmerzensmann. Dove il Redentore mostra già gli attributi della resurrezione – la croce astile, come vessillo trionfale – e del giudizio ultimo – il rosso mantello regale (qui sorretto da una coppia di angeli). Mentre con l’affacciarsi in alto di Dio Padre e dello Spirito Santo è evocata anche la presenza della Trinità.
Ai lati, due santi vescovi, muniti di mitra e pastorale, contemplano la visione del Cristo. A sinistra vi è Ambrogio, immediatamente riconoscibile per lo staffile, il volto pensoso, incorniciato da una corta barba. A destra, invece, si staglia Agostino, il viso imberbe illuminato da un ascetico sorriso: fra le dita stringe un cuore (di un rosso vivo, come i suoi eleganti scarpini), trafitto da frecce. Il riferimento è nelle Confessioni, dove il vescovo di Ippona, rivolgendosi al Signore, ricorda: «Mi avevi bersagliato il cuore con le frecce del tuo amore» (9, 2). Un tema iconografico che si diffonde soprattutto fra Cinque e Seicento, e che avrebbe qui, dunque, una sua precoce testimonianza.
Alcune relazioni del Settecento documentano l’opera a Brugherio presso la piccola chiesa di Sant’Ambrogio, annessa a quel monastero benedettino femminile fondato, secondo la tradizione, dalla sorella stessa di Ambrogio, Marcellina. Ma si trovava in quel sacro edificio anche in antico? Ed è stata commissionata proprio per quell’oratorio brianzolo? E da chi? E perché, ancora, l’originario committente si è rivolto proprio ad un artista “straniero”, che ha interpretato il tema in maniera così “particolare”?
Tutto, infatti, in questo dipinto rimanda a una cultura nordica. Il soggetto stesso, l’ambientazione di un gotico esuberante, il tratteggio delle figure rivelano una consonanza con l’area germanica, più che olandese o fiamminga, e più precisamente con la regione del Reno, vicino cioè alla sensibilità di un Konrad Witz e dei suoi seguaci.
Federico Cavalieri, in un “pionieristico” studio del 1998, ha accostato la tavola di Brugherio ad un altro straordinario ed enigmatico affresco, quello scoperto una trentina d’anni fa sulla parete dell’oratorio di San Bernardo presso l’abbazia di Chiaravalle milanese: un lavoro talmente “inconsueto” per l’ambito lombardo che si è perfino ipotizzato il contributo di Hieronymus Bosch! E, a loro volta, le due opere sono state messe a confronto con il dipinto murale dell’Annunciazione che ancor oggi si conserva, splendidamente, nel chiostro della chiesa di Santa Maria di Castello a Genova: pittura che, in questo caso, è fortunatamente datata, al 1451, e firmata da “Giusto di Allemagna”, identificato con certezza in Jos Amman, artista svizzero nativo del territorio di Ravensburg, sul Lago di Costanza.
Insomma, è possibile attribuire a Giusto di Ravensburg anche la pala che nei prossimi giorni sarà esposta al Museo Diocesano? Gli indizi, convincenti, ci sono. Ma sarà compito degli studiosi approfondire questa interessantissima pagina di arte lombarda.
Magari a partire dalle presenze “nordiche” nel cantiere del Duomo di Milano. E poi indagando, ci sentiamo di suggerire, attorno a quel significativo Concilio di Basilea – città di riferimento proprio per Giusto e per Witz – che fra il 1431 e il 1449 vide una folta e qualificata partecipazione della Chiesa ambrosiana, durante il ducato di Filippo Maria Visconti, impegnato a consolidare il suo potere anche attraverso un’attenta politica “ecclesiastica”.
Visconti, del resto, il cui simbolo del sole raggiante, quella raza che giganteggia sull’abside della Cattedrale, compare quasi come “messaggio cifrato” anche nella tavola di Brugherio, attorno alla colomba dello Spirito Santo…
In mostra dal 6 febbraio all’8 marzo 2015,
al Museo Diocesano (corso di Porta Ticinese, 95),
da martedì a domenica (ore 10-18).
Info, tel. 02.89420019 www.museodiocesano.it