Il 30 e 31 gennaio il Consiglio Presbiterale diocesano ha discusso sul tema “Educare l’età di mezzo alla vita buona del Vangelo”. “Età di mezzo” indica l’ampia fascia di adulti compresi tra i 35/40 e 60 anni, anche se ovviamente l’elemento anagrafico cronologico è solo un indicatore. È la fase della vita di una persona in cui essa raggiunge il proprio apogeo e, al tempo stesso, inizia la sua decadenza (Luciano Manicardi, La crisi dell’età di mezzo).
Il Consiglio Presbiterale ne ha trattato evidentemente non sotto il profilo sociologico, ma pastorale. La questione della presenza/partecipazione/vivacità ecclesiale dell’età di mezzo era stata posta già nell’omelia tenuta dal cardinale Scola in occasione della celebrazione per l’ingresso in Diocesi del 25 settembre scorso. Allora egli riferiva alcune espressioni di Giovanni Battista Montini del 1934 in cui affermava che «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea». L’arcivescovo Angelo aggiungeva che la sua esperienza dà «dolorosa e crescente conferma dell’attualità di questa diagnosi, soprattutto per gli uomini e le donne delle generazioni intermedie. Essi sembrano sopraffatti dal mestiere di vivere. Normalmente non sono contrari al senso cristiano dell’esistenza, ma non riescono a vederne la convenienza per la vita quotidiana loro e dei loro cari».
Si aggiunga che l’età di mezzo è il tempo in cui prevale il senso di una stabilità affettiva, è il tempo in cui si costruisce o si cerca di costruire una carriera lavorativa, è il tempo in cui gli impegni sono molti, si accavallano, creano dispersione. È il tempo del disincanto in cui sembra che la fede non abbia più spazio e sembra che il Vangelo abbia esaurito le proprie risorse. È pure il tempo di sofferte rotture delle relazioni di coppia e della irregolarità dei matrimoni. Ma è anche il tempo in cui permangono – e forse si acuiscono – le domande fondamentali di senso e può essere riscoperta e rilanciata una nuova relazione con Dio.
La discussione è stata ampia e dai contenuti interessanti. Ci si è accorti che la proposta della Chiesa ambrosiana rivolta a questa fascia di età è consistente: nell’ordinarietà la nostra pastorale parrocchiale offre numerosi percorsi di accompagnamento e di ripresa dei cammini di fede (nascita, iniziazione cristiana, matrimonio, morte); non sono da sottovalutare gli incontri casuali in cui devono mostrarsi le capacità di accoglienza e di dialogo del presbitero plasmato dalle virtù umane; inoltre è da segnalare il linguaggio celebrativo che può e deve diventare annuncio.
Certamente molto è ancora richiesto: è aperta la questione di una comunicazione del Vangelo che sia adatta ed efficace così da intercettare le sensibilità degli uomini e delle donne del nostro tempo mostrando che la Parola di Gesù è punto di riferimento decisivo; è il caso di riconsiderare la proposta di catechesi degli adulti così da evidenziare in quale modo la fede interagisca con il fare quotidiano; c’è da invitare a rielaborare le proprie domande ed esigenze più vere perché una riflessione personale profonda trovi nella spiritualità cristiana possibilità di valori fondanti la propria identità e in grado di sostenere una proposta educativa genitoriale; c’è il tema della "decentralizzazione" per cui ormai molti e differenziati sono i "centri" attorno a cui ruota la vita concreta delle persone: e questo vale anche per le nostre chiese parrocchiali e il nostro principio di territorialità.
Ma innanzitutto un altro è l’argomento fondamentale: quali comunità cristiane proponiamo? Quali comunità un adulto incontra? Quali relazioni viviamo: sono capaci di ascolto, accoglienza, di accompagnamento? Le nostre comunità cristiane sono capaci di testimonianza? Incontrando le nostre persone e le nostre comunità un adulto coglie un segno di pienezza e di compimento o piuttosto atteggiamenti di stanchezza e difesa? Nei luoghi che abitualmente viviamo siamo Chiesa? Comunichiamo in tutti gli ambienti – secondo la nostra vocazione – la ricchezza e la speranza che vengono dal Vangelo?
Questo è il rilancio su cui tutti siamo interpellati: è il compito missionario che ci ha consegnato il Battesimo. Il nostro tempo detto dai competenti "postmoderno" costituisce un nuovo banco di prova per la nostra fede. I Vescovi lombardi avevano già espresso una serie di considerazioni nel documento del 2009 La sfida della fede: il primo annuncio. Tra l’altro domandavano: «Che cosa succedeva quando i primi credenti cercavano di contagiare coloro che entravano in contatto con le comunità cristiane delle origini? Come proponevano il loro “primo annuncio” su Gesù risorto, speranza del mondo? Che tipo di attenzione si richiede per trasmettere la fede oggi e chi sono i “nuovi venuti” che bussano alle porte delle nostre comunità? Quali condizioni debbono essere create perché la fede sia possibile in un contesto di nuova secolarizzazione?».
E aggiungevano: «La parola “Vangelo” dice il cuore del cristianesimo che è insieme incontro e annuncio. È un incontro che diventa annuncio ed è un annuncio che porta a un incontro. Anzi all’incontro decisivo con Cristo, vivente oggi nella testimonianza della Chiesa e dei credenti, che nello Spirito conduce a pienezza la nostra ricerca di identità».
La coscienza cristiana è urgentemente mobilitata a un rilevante sforzo per ridire nella vita e nelle parole i contorni qualificanti della fede cristiana. La contemplazione dell’Eucarestia faccia ogni credente più consapevole della propria appartenenza ecclesiale e del proprio impegno nel mondo.