La Giornata della solidarietà raggiunge il suo venticinquesimo anno. Fu infatti istituita dall’arcivescovo Carlo Maria Martini in un momento di fatica economica del Paese e rimane ancora oggi un segno dell’attenzione della Diocesi alla società. In questo momento storico il senso di questa Giornata appare ancora attuale per almeno tre grandi ragioni:
1. L’attuale congiuntura storica degli scenari internazionali. Il Brexit in Gran Bretagna, l’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e la crescita di formazioni politiche che puntano tutto sul populismo, sono elementi che convergono nella direzione di una sempre maggiore chiusura dei corpi sociali. Si pensi a come la Chiesa si trovi oggi in minoranza sia all’esterno, sia al suo interno nel promuovere politiche migratorie di accoglienza ai profughi: questa è una delle cifre con cui leggere una sempre maggiore perdita del legame sociale.
2. Il lavoro sta subendo fortissimi mutamenti e viviamo il tempo della cosiddetta rivoluzione industriale 4.0, dopo quelle del carbone e della macchina a vapore, del petrolio, dell’energia elettrica e della produzione di massa, e di internet e delle tecnologie dell’informazione e dell’automazione. Questa rivoluzione in atto tocca il campo dell’intelligenza artificiale (ovvero macchine capaci d’apprendere), della stampa 3D, delle nanotecnologie e delle biotecnologie. Si avvicina il momento in cui ci muoveremo su auto guidate senza il conducente. Inoltre il big data è algoritmo in grado di elaborare una quantità enorme di dati in tempi ridotti.
Tutto ciò ha prodotto grossi effetti sul mondo del lavoro, che vede l’estinzione o il forte ridimensionamento di molte professioni storiche. Un esempio soltanto: il mondo bancario ha visto una riduzione di posti di lavoro di quasi 20 mila unità solo negli ultimi anni e questo perché il sistema home-banking permette di fare da casa tutte le operazioni che solo fino a qualche anno fa necessitavano di uno sportello bancario. Ma si pensi anche alle vendite on line e a quanto incidono sulle vendite al dettaglio. Gli effetti nell’immediato sono una diminuzione dell’occupazione e questo chiede un forte ripensamento della divisione del lavoro e dell’impiego di persone.
3. Infine, vi è tutta la questione dei conflitti nelle nostre città. Il livello d’insofferenza tra gli esseri umani continua a crescere e talora l’antidoto allo scontro appare l’indifferenza. Per uscire da questa logica individualista, come Diocesi abbiamo chiesto ai territori di scrivere delle lettere alle proprie città. La cosiddetta “Lettera alla città” è un tentativo che stiamo attuando di “dialoghi della vita buona” dal basso, con l’intento di non perdere le trame di relazione tra gli abitanti dei territori.
Una città solidale è quella dove le persone riconoscono i problemi e le opportunità e insieme lavorano per risolvere i primi e per dare concretezza alle seconde. Questo chiede d’imparare un metodo per affrontare i conflitti e cogliere le energie che scaturiscono dalla presenza di altri popoli.
Una città solidale prende sul serio la questione della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione e scommette sul futuro della vita.
Una città solidale crede nella forza del lavorare nel locale, ma con uno sguardo globale.
Una città solidale sa che dall’educazione e dalla cultura passa il suo futuro e per questo non smetterà di sforzarsi con ogni energia per insegnare a pensare. Il dialogo tra persone che pensano resta la via fragile, ma urgente da conseguire.
I credenti inoltre affidano a Dio il loro agire e sentono la preghiera non un orpello, ma il fondamento della loro speranza.
Sabato 18 febbraio celebreremo il tradizionale Convegno della vigilia a Cinisello Balsamo, in un’azienda del nostro territorio che prova a vivere al suo interno logiche di solidarietà e che crede nella forza dei legami sociali. La scelta di vivere questa riflessione in una ditta è un piccolo segno del desiderio di pensare dentro i luoghi dove si vive la quotidianità.