Chi fa dello sport cerca la vita: un corpo sano, snello, ma assieme una vitalità più globale, una tensione verso traguardi difficili, un confronto leale con altri protagonisti; e quindi una disciplina, una regola austera di vita, una competitività che sa stimare e rispettare il valore del suo antagonista! Chi fa dello sport seriamente, è un uomo sano.
Che è premessa perché un uomo divenga maturo. Maturo per affrontare la vita che non è un gioco, ma una costruzione seria, sistematica, nel confronto e nella integrazione con altre persone ed eventi che arricchiscono, verso mete e valori sempre più alti, capaci di soddisfare esigenze interiori spirituali e morali, di cuore e di intelligenza, fino al pieno possesso di sé in una libertà consapevole e responsabile.
Ma la riuscita piena della vita non sta in una somma di conquiste umane. Da una parte l’uomo onesto scopre in sé molti limiti – soprattutto morali – che lo rendono umile e realista, come sa bene lo sportivo che non sempre vince e riesce nelle sue competizioni; dall’altra sente dentro aspirazioni e aspettative che vanno sempre oltre le sue possibilità, come ben sa lo sportivo che mira sempre più in alto! Da qui la necessità di aprirsi ad una visione della vita che non rinneghi la razionalità di fronte all’assurdo e si apra ad una speranza capace di superare i limiti e accontentare le attese.
L’attività sportiva va riferita all’uomo e alla sua integrale maturazione. E’ necessario allora avere sempre presente il preciso disegno di antropologia cristiana che fa dell’uomo una immagine di Dio, anzi, “p redestinato ad essere conforme all’immagine del Figlio suo perché Egli sia il primogenito di molti fratelli” (Rm 8,30), e quindi in sostanza figlio ed erede di Dio. Noi cristiani crediamo che l’uomo pienamente riuscito – e quindi il modello unico di riuscita piena umana – è Gesù di Nazaret; scrive il Concilio: “ Chi segue Cristo, l’uomo perfetto – diventa lui pure più uomo ” (GS 41), cioè veramente uomo. Per fare l’uomo, lo sport è utile; ma è solo premessa e un primo scalino per giungere ad avere quella pienezza di vita (“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza ”) che solo Cristo sa dare.
In particolare per tutto il settore giovanile l’attività sportiva deve essere intesa come momento educativo capace – a fianco di altre complementari attività – di realizzare un equilibrato armonico sviluppo di tutto l’uomo. Non è realtà assoluta, ma mezzo per un fine; non è realtà neutra o indifferente ma ricca di valori e possibilità di crescita; non è un puro gioco lasciato al capriccio ma ha sue regole che lo rendono attività umana utile e costruttiva.
Gli elementi che ne costituiscono l’anima educante sono:
la gratuità (come simbolo di ciò che non produce, non “serve”, espressione del bello e di una più libera espansione della personalità, contro la mentalità utilitarista, competitiva, consumistica); la festa (nel senso della gioiosa partecipazione al momento gratuito dell’altro, nella solidarietà pacifica e fraterna); e in questo ambito la socialità (nel senso di sviluppare la capacità aggregativa del ragazzo e la vita di gruppo, e quindi l’educazione alla ricerca di un bene comune, come contrappeso alla cultura soggettivista-individualista); l’agonismo che stimola a tendere a più alti traguardi ma nella disciplina e nella “ascesi” (palestra di virtù umane: temperanza, prudenza, fortezza interiore anche nella sconfitta, giustizia, lealtà, docilità….); si potrebbe anche dire: la cura di sé e la responsabilità della propria crescita (“mens sana in corpore sano”, per vincere tentazioni di evasione e pericoli anche per la salute del corpo).