Ebrei e cattolici parleranno di famiglia e del vincolo “fedele e definitivo” tra un uomo e una donna. I cristiani invece puntano a un impegno per la giustizia e la pace, per la costruzione di una società dove sono bandite una volta per tutte ogni forma di discriminazione soprattutto quella subita a causa dell’appartenenza religiosa.
Gennaio è il mese del dialogo perché il 17 si celebra la Giornata del dialogo ebraico-cattolico e quest’anno sulla scia dell’approfondimento delle Dieci Parole, è la volta del comandamento “Non commettere adulterio”. Subito dopo, dal 18 al 25, si celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Quest’anno il testo originario della Settimana è stato preparato dallo Student Christian Movement of India (Scmi), che ha scelto di prendere in considerazione la realtà dei Dalit. Sono “i fuori casta” del sistema sociale e religioso induista dell’India, e pur godendo oggi di nuove legislazioni, sono spesso vittime di emarginazione e abusi, politicamente sotto-rappresentati, sfruttati economicamente e soggiogati culturalmente. I cristiani dell’India sono in maggioranza Dalit.
Ebrei e cattolici in dialogo sulla famiglia
«Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane». È questo «il prezioso servizio» che ebrei e cattolici in Italia possono offrire per «la costruzione di un mondo dal volto più umano». Si parlerà dunque di famiglia quest’anno alla Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici e ebrei che si celebrerà il 17 gennaio 2013 e avrà per tema il settimo comandamento “Dio allora pronunciò tutte queste parole: Non commettere adulterio” (Esodo 20, 1.14).
Come ogni anno la Giornata è presentata in un sussidio preparato da monsignor Mansueto Bianchi, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, e dal Rav. Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia. La Giornata rappresenta una tappa importante nel cammino di dialogo fraterno tra la Chiesa in Italia e il Popolo ebraico, «mostrando – scrivono il vescovo e il rabbino – di voler andare oltre turbolenze e incertezze che hanno talora suscitato dubbi sull’effettiva consistenza del dialogo cristiano-ebraico odierno». Per il loro dialogo, ebrei e cattolici italiani hanno scelto un cammino di riflessione iniziato anni fa sulle “Dieci Parole”: esse rappresentano «campi di collaborazione e di testimonianza» nella comune aspirazione di «risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente» in un mondo in cui molti «non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita».
I cristiani per la giustizia e la pace
Vivere per la giustizia e la pace, per «una società costruita sulla dignità, sull’uguaglianza, sulla fraternità». Questo invece l’impegno che i cristiani delle diverse Chiese presenti in Italia intendono prendere insieme. “Quel che il Signore esige da noi” (cfr. Michea 6, 6-8), è infatti il tema scelto per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra dal 18 al 25 gennaio. Il testo – preparato dallo Student Christian Movement of India (Scmi) – parte dalla testimonianza di fede di una storia realmente accaduta di una donna della comunità Dalit chiamata Sarah. L’incidente narrato ebbe luogo nel 2008 in Khandamal, nello Stato di Orissa, nell’India centrale, dove per un mese si scatenò grande violenza. I cristiani (in maggioranza Dalits) furono attaccati da estremisti Hindu. I luoghi di culti e le case dei cristiani furono distrutti. Orissa è una delle città più povere dell’India, tradizionalmente associata con il settore più socialmente discriminato. Il bilancio della violenza fu di 59 morti, 115 chiese cristiane distrutte, case danneggiate, e un totale di 50.000 cristiani senza tetto che cercarono rifugio nelle foreste e, più tardi, nei campi-profughi organizzati dal Governo indiano.
Il messaggio per le Chiese in Italia
Anche quest’anno la Settimana è presentata alle chiese e comunità ecclesiali presenti nel nostro Paese dai loro rispettivi responsabili in un messaggio comune scritto da monsignor Mansueto Bianchi, a nome della Conferenza episcopale italiana, dal Pastore Massimo Aquilante, per la Federazione delle Chiese evangeliche e dal Metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e di Malta ed Esarca per l’Europa Meridionale. «È incontestabile – si legge nel messaggio – che la vera fede in Dio è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia sociale». Per i cristiani dunque, «camminare umilmente con Dio» significa anzitutto «camminare in solidarietà con coloro che lottano per la giustizia e la pace, e condividere la sofferenza di tutti, attraverso l’attenzione, la cura e il sostegno verso i bisognosi, i poveri e gli emarginati». «Camminare con Dio – incalzano i leader delle Chiese – significa camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e il nazionalismo che dividono e danneggiano i membri della Chiesa di Cristo».