«Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore». Questa invocazione divenne il manifesto stesso dell’impegno dei cattolici ambrosiani nella lotta di liberazione dal nazifascismo. La scrisse Teresio Olivelli nel carcere milanese di San Vittore, in occasione della Pasqua del 1944: anima del movimento clandestino lombardo delle Fiamme verdi, medaglia d’oro al valor militare, morì di stenti nel lager di Hersbruck pochi mesi più tardi, neppure trentenne. Oggi di Olivelli è in corso la causa di beatificazione.
Ribelli, dunque. Perchè la Resistenza fu innanzitutto rivolta morale, fatta di dolore e di chiarezza, contro un’aberrante concezione dell’uomo e della storia, sovvertitrice degli stessi valori supremi dell’esistenza. Non fu per caso, dunque, che la Resistenza, anche – e verrebbe da dire, soprattutto – in terra ambrosiana, sia nata quasi ovunque all’ombra dei campanili, e non certo all’ultimo momento. Essa sbocciò e trovò forza all’interno delle parrocchie, «come il risultato obiettivo di un’educazione religiosa e civile che si protendeva nella difesa dei valori cristiani negati o distorti dalle tendenze esclusiviste e totalitarie del fascismo», come ha scritto monsignor Enrico Assi, indimenticato vescovo di Cremona, protagonista della lotta antifascista nel territorio di Vimercate.
Dall’estate del 1943, studenti e operai delle diverse associazioni cattoliche avevano costituito, un po’ dappertutto in diocesi, i primi nuclei di resistenza, non solo sul piano della lotta armata, ma anche su quello della preparazione politica, per porre i fondamenti di una nuova vita democratica. Contemporaneamente, a Milano, in tutta la Brianza, nel lecchese, nel luinese, ma anche nella Bassa, parroci e giovani coadiutori aprivano le canoniche e gli oratori per dare ospitalità, protezione, aiuto ai renitenti, a prigionieri in fuga, a ebrei ricercati. Altri sacerdoti, invece, si portarono direttamente sui monti, vicino ai partigiani, per annunciare loro, sulla parola di Cristo, la speranza di un domani migliore.
Ma fu soprattutto restando al loro posto, in mezzo alla loro gente, condividendo angosce e speranze, che i preti ambrosiani divennero l’ossatura nascosta e portante della Resistenza. E «lo divennero non per ordini ricevuti dall’alto, non per far fronte ad un programma di emergenza», afferma ancora monsignor Assi, «ma semplicemente come conseguenza pratica e logica della loro missione: essere testimoni della verità che ci fa liberi, essere vicini e partecipi del dramma degli oppressi».
L’arcivescovo di Milano, il cardinale Idelfonso Schuster, aveva segretamente affidato alla San Vincenzo de’ Paoli l’incarico di soccorrere gli ebrei presenti in diocesi nella forma più larga ed efficace possibile. A questa si aggiunse l’attività dei “contrabbandieri di Dio”, di coloro cioè – laici, religiosi e preti diocesani – che, mettendosi pericolosamente al servizio dei perseguitati, organizzavano per essi una fitta rete di soccorso e di trasferimento verso la Svizzera.
Si trattava dell’Organizzazione soccorsi cattolici antifascisti ricercati, ideata dalle “Aquile randagie” milanesi, il movimento scautistico cattolico diventato clandestino dopo il divieto fascista. Con la sigla “Oscar”, essa operava presso il collegio San Carlo di Milano, sotto la guida di don Andrea Ghetti e di don Aurelio Giussani. Pronta e ardimentosa fu la collaborazione al gruppo di don Natale Motta e di don Giovanni Barbareschi, cui si unirono molti altri sacerdoti della diocesi ambrosiana. Dal canto suo don Franco Cappelli poneva in salvo nel Piccolo Cottolengo e nell’Istituto Palazzolo quanti più pericolanti poteva.
Dai ricordi dei protagonisti di quei giorni sull’attività dell’Oscar a Milano risulta che furono oltre 1.500 i perseguitati posti in salvo Oltralpe. Almeno altri 200 furono i ricercati sottratti da questa rete clandestina all’arresto, senza contare la realizzazione di migliaia di documenti falsi, fondamentali per la salvezza di quanti erano braccati dai nazifascisti
L’opera dei preti ambrosiani, così come il contributo di tutto il mondo cattolico, fu dunque determinante. Ma per ogni nome noto, decine e decine di altri sembrano rimanere avvolti da un rispettoso silenzio. D’altra parte, se questo impegno non è stato ricordato come avrebbe invece meritatato, è forse anche “colpa” degli stessi protagonisti. Uomini di Dio che per un innato senso del pudore hanno in qualche modo voluto sottrarre, di fronte a facili protagonismi, fatti, episodi, autentici eroismi di cui furono protagonisti.