«Nessuno si aspettava che qualcosa del genere potesse accadere a Tunisi, l’area del Parlamento è ben sorvegliata e il governo in carica sembrava aver preso misure importanti per impedire questo tipo di azioni». Padre Jean Fontaine, sacerdote dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi), raggiunto telefonicamente, condivide l’incredulità di molti tunisini davanti all’attacco al Museo del Bardo nella capitale, non lontano dal parlamento, con almeno 24 vittime, tra cui 4 italiani. A compiere l’assalto sono stati uomini in uniforme, che hanno prima aperto il fuoco contro un autobus di turisti, uccidendone alcuni, e poi si sono asserragliati nell’edificio con numerosi ostaggi. Tra questi si contano altri morti. L’intervento delle forze di sicurezza, riuscite a entrare nel museo, ha permesso di liberare gli altri e nella sparatoria hanno perso la vita anche due degli assalitori.
Obiettivi di potere
Non è stato immediatamente chiaro a quale gruppo appartenessero gli autori dell’attacco, né se l’assalto al museo – come pure sostengono alcuni media – sia stato un ripiego rispetto a un possibile attacco al Parlamento, dove in quel momento si discuteva una bozza di legge antiterrorismo, alla presenza del ministro della Giustizia. Molte delle prime analisi circolate in Europa e negli Usa hanno ricordato che numerosi tunisini si sono uniti a formazioni jihadiste all’estero e citato la sospetta presenza di reclutatori del cosiddetto Stato islamico (Is) nel Paese.
Una tesi che padre Fontaine, a lungo impegnato nel dialogo islamo-cristiano, accoglie però con prudenza: «La Libia è vicina – nota il religioso – anche se non abbiamo mai pensato a combattenti come quelli del cosiddetto Stato islamico qui in città, si sapeva soltanto che ce n’erano piccoli gruppi nascosti nelle montagne». Quanto accaduto, secondo padre Fontaine, in ultima analisi non ha nulla a che fare con la religione: «Bisogna separarla completamente da queste azioni, portate avanti da persone che vogliono prendere il potere con la forza, indipendentemente dal fatto che alcuni cerchino di giustificarsi invocando la religione». L’aspetto da affrontare, semmai, conclude il sacerdote «è economico, c’è bisogno che tutti possano lavorare e abbiano di che vivere, che ci sia meno differenza tra ricchi e poveri: questi fattori pesano nella situazione attuale».
Appello all’unità
«Non leggo questa strage in chiave interreligiosa – precisa anche Adnane Mokrani, docente di studi islamici presso la pontificia università Gregoriana, che a Tunisi è nato – ma ci si poteva attendere che accadesse qualcosa, considerando che la Tunisia ha lunghi confini con la Libia, che sta vivendo un momento drammatico: purtroppo le infiltrazioni le collaborazioni con qualche cellula terroristica in Tunisia erano probabili, viste anche le minacce arrivate in passato».
«Questo atto – prosegue – ha preso di mira due simboli della Nazione, il Parlamento, che rappresenta la nuova democrazia, e il turismo, proprio all’inizio della stagione, per attaccare l’economia». Un risultato, quest’ultimo, che gli assalitori hanno sfortunatamente già raggiunto: la Borsa di Tunisi ha perso poco meno del 2,5% solo nelle poche ore immediatamente successive all’attacco e al blitz di polizia.
Per rispondere alla sfida dei terroristi, Mokrani guarda soprattutto alle autorità politiche, a quel governo che comprende sia i laici di Nidaa Tounes che il partito d’ispirazione Islamica Ennahda: «Ora gli sforzi vanno all’allargamento di questa alleanza e alla sicurezza, all’economia che non regge. C’è bisogno che partiti, sindacati e tutto il popolo si uniscano per contrastare il terrorismo e mantenere la coesione nazionale: nessuna autorità, né religiosa, né politica, pensa di appoggiare questi terroristi».
Mokrani è cosciente anche del fatto che nella soluzione della crisi i tunisini non possono essere lasciati soli. Chi, sull’altra sponda del Mediterraneo, ha a cuore quanto accade in Nordafrica deve «collaborare, creare reti, dare sostegno politico e logistico al Paese». Bisogna però «evitare allarmismi esagerati: anche se si tratta di una strage gravissima, non dobbiamo farci prendere dal panico, perché lo scopo dei terroristi è proprio creare il caos per poter colpire ancora», avverte lo studioso. Al contrario, suggerisce «dobbiamo reagire in modo razionale e risolvere innanzitutto la questione libica: la Tunisia non può avere pace se non c’è pace in Libia».