A trent’anni dalla morte, la memoria di don Giovanni Moioli è ancora viva: non solo in chi ritrova illuminazione e ricchezza nella sua produzione teologica, ma anche in quanti l’hanno avuto maestro di vita, amico e confidente nelle ore facili e difficili, nella ricerca critica della verità, soprattutto capace di sostenere la vocazione cristiana di ogni condizione di vita, sempre con fede profonda, con l’umiltà di chi si sente inadeguato, vivendo tuttavia una grandissima fiducia nel Signore.
La morte l’ha colto quando ancora il suo impegno nell’ambito della teologia si apriva ai nuovi orizzonti della teologia spirituale, per la quale si era speso con l’appassionato desiderio di dire chi è Gesù Cristo e, coerentemente, il cristiano. Conduceva non solo a riflettere su Gesù, ma a «saperlo» (indugiava frequentemente su questo verbo, che gli era caro e riteneva significativo), con quel suo singolare modo di rimandare «oltre», verso l’unico insostituibile Interlocutore, che è Gesù di Nazareth. Qui sta la sintesi del suo magistero: nell’invito appassionato a «contemplare» il mistero di Cristo, la singolarità di Gesù di Nazareth, che tanto amava. Dalla fede e dall’irrinunciabile riferimento a Gesù poteva dedurre l’identità del cristiano, dell’«uomo spirituale», quello che lo Spirito fa, che è misurato da Gesù Cristo e su Gesù Cristo.
Fare memoria dei suoi insegnamenti è l’intenzione del convegno, che il 4 ottobre si terrà a Vimercate (vedi box a fianco), promosso dal Centro «Giovanni Moioli» per lo studio della teologia spirituale della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e dalla Comunità pastorale di Vimercate e Burago di Molgora, con l’intervento dell’Arcivescovo, cardinale Angelo Scola. Sarà un’occasione per rivisitare la figura di un autentico maestro di spirito, di un teologo, che ha parlato, nella sua ricerca e più ancora nella vita, dell’amore a Gesù Cristo, alla Chiesa, alla nostra Diocesi, riconosciuta come la propria casa. Le sue riflessioni muovono sempre da questa consapevolezza, che si fa amore e condivisione, dedizione e servizio. Un servizio praticato in Seminario fin da giovane prete, con il compito di direttore spirituale degli alunni del Ginnasio. Era subito emersa la sua capacità di garantire una formazione autentica, da farsi progressivamente, anche a piccoli passi, senza mai venir meno al rigore dei contenuti, offerti con bontà e comprensione. Questo suo impegno formativo non è mai venuto meno, ma si è fatto sempre più consistente, nei confronti di tutti: giovani e adulti, laici e consacrati, famiglie e comunità religiose. Conduceva e riconduceva all’essenziale, tenendo viva l’esigenza di coniugare il rigore della teologia con un’autentica dimensione pastorale, facendosi padre, fratello e amico. Lo ricordano così tantissime persone: gente semplice e umile, di ceti sociali diversi, di vocazioni e condizioni diverse. E tutti custodiscono di lui un ricordo dolcissimo, il desiderio di non disperdere il benefico patrimonio da lui ricevuto.
Se amava la Chiesa – e ogni vocazione nella Chiesa – amava con predilezione la vocazione dei preti: voleva che essi amassero il loro ministero, anche nei momenti di difficoltà, che possono farsi crocifiggenti. Lo aveva ripetuto con visibile commozione il cardinale Carlo Maria Martini nell’omelia della Messa esequiale: «E quest’oggi, sentendomi così presente alla liturgia esequiale di don Giovanni, sento di essere presente alla liturgia, alle preghiere per tanti altri preti, per tutti coloro che hanno trovato nel ministero di questo nostro fratello una forza, un incoraggiamento, uno stimolo, cosi da vedere in lui un maestro, un educatore, un confidente, un formatore di preti».
La ricchezza della sua persona si ritrova efficace anche nel suo testamento, in cui si legge: «Dietro il passato, il presente e il futuro, voglio vedere il Figlio dell’Uomo al quale mi affido supplicandolo di lavarmi i piedi e di purificarmi per l’incontro con Lui, come e quando Gli piacerà».