«La sperienza fa bona regola», annota Leonardo da Vinci nelle sue carte, anticipando così di almeno un secolo il metodo sperimentale galileiano. Animato da una curiosità assetata di verità, spinto dal bisogno di soddisfare esigenze pratiche come dal desiderio di completare un sapere sempre più enciclopedico, il genio del Rinascimento italiano – che, riconoscendo i propri limiti, amava definirsi «omo sanza lettere» – affronta indagini e ricerche in ogni campo, ma sembra privilegiare, per passione personale e spirito di concretezza, proprio gli studi in materia di ingegneria meccanica, con la progettazione di macchine e strumenti, i più disparati e diversi.
Come, ancora una volta, rivela la nuova rassegna proposta dalla Biblioteca Ambrosiana attorno ai fogli di uno dei suoi tesori più preziosi, quel Codice Atlantico che rappresenta la documentazione più ampia e articolata degli interessi scientifici, naturalistici e artistici di Leonardo. Una mostra, questa che è ormai la diciassettesima della serie, che nelle carte selezionate per l’occasione offre un’affascinante panoramica delle esplorazioni vinciane di tipo tecnico e strumentale, con disegni, schizzi e appunti di macchinari per tagliare tessuti o per produrre fili metallici, ad esempio. Mole per gli specchi, macine, carrucole e pompe idrauliche. Ma anche strumentazioni scientifiche, come orologi e compassi. E marchingegni destinati ad un uso militare…
Leonardo si dimostra osservatore attentissimo, sia che si tratti di descrivere il moto delle acque correnti, sia che debba seguire il volo degli uccelli. Eppure è proprio nella meccanica applicata che il maestro toscano si eleva sopra tutti i predecessori e i contemporanei. E non solo per le sue invenzioni, spesso autenticamente geniali, ma anche per il modo assolutamente innovativo con cui egli analizza la macchina nei suoi particolari, cercando di conoscerne i meccanismi e gli elementi e, quindi, l’effettiva funzione.
Con Leonardo, insomma, la rappresentazione grafica dello strumento meccanico assume una fisionomia che davvero prelude ai procedimenti moderni del disegno di macchine. Al punto che le carte del Codice Atlantico, spesso, sembrano proprio fogli di officina, destinati cioè a essere passati nelle mani di artigiani da lui stesso incaricati di dare esecuzione pratica ai suoi progetti. E anche quando riproduce macchine già note o riprende applicazioni già impiegate, Leonardo riesce comunque a imprimere nei suoi studi il segno possente e unico della sua personalità d’artista.
Fra i fogli più interessanti presentati nelle due consuete sedi milanesi (nella Sala Federiciana dell’Ambrosiana, cioè, e presso la Sacrestia del Bramante in Santa Maria alle Grazie), si segnala il “compasso parabolico”, ideato da Leonardo esattamente cinque secoli or sono, cioè attorno al 1513, anno in cui il nostro maestro assunse un macchinista tedesco per la produzione di specchi ustori, su richiesta di papa Leone X. Un disegno per il quale il Da Vinci riprese e adattò, quasi certamente, un suo vecchio progetto, forse ancora precedente il suo primo soggiorno milanese.
Legato a quest’ambito è anche lo studio di una macchina per produrre specchi concavi. Un’esperienza che gli arrivava da lontano, se consideriamo che già mentre era a bottega dal Verrocchio, fra il 1467 e il 1475, Leonardo poté osservare l’impiego di specchi ustori, ad esempio per saldare le sezioni della sfera in rame di quattro braccia di diametro sulla lanterna della cattedrale di Firenze.
L’intento di Leonardo, in queste ricerche della maturità, è quello di sviluppare uno specchio ustorio in grado di produrre energia per le manifatture tessili. Il suo interesse in questo campo è dimostrato anche da altri disegni tecnici presenti in mostra, come quello di una macchina garzatrice per fabbricare tessuti felpati, o quello di un filatoio a manovella che consentiva una filatura notevolmente più veloce e omogenea rispetto ai macchinari del tempo.
Il genio, si sa, emerge anche nei dettagli più concreti…