Milano non sta vivendo una buona stagione. Il tema dell’amicizia civica è importante, perché in questo momento per uscire dai problemi e per rilanciare la città, per ridarle un futuro, occorre costruire alleanze in vista del raggiungimento di obiettivi comuni». Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica e attento osservatore dei cambiamenti della metropoli, riflette sul ritratto di Milano alla vigilia del Discorso alla città che il cardinale Scola pronuncerà venerdì 5 dicembre, alle 18, nella Basilica di Sant’Ambrogio.
Milano sta vivendo giornate difficili per le vicende delle case popolari. Si tratta di un problema antico, tuttavia perché riesplode ora con questa violenza?
La crisi economica, sociale e occupazionale – per quanto meno forte in Lombardia e a Milano rispetto al resto del Paese – da diversi anni colpisce in particolare le periferie, i gruppi sociali più fragili, le cui condizioni di vita vanno peggiorando. Questo non aumenta di per sé la solidarietà, fa crescere la rabbia, il senso di paura e di abbandono. Quindi non bisogna sorprendersi, anche se non vuol dire che si devono giustificare queste vicende. Una lunga crisi economica peggiora le situazioni che tendono a trasformarsi in rabbia e in comportamenti difficili da gestire.
C’è il rischio di strumentalizzazione politica e di infiltrazione di frange violente. È una situazione che va affrontata anche per questi motivi, al di là della necessità di dare dignità e rispondere al diritto della casa…
Accade sempre in queste situazioni. Anche perché tra chi sta male c’è sempre qualcuno che sta ancora peggio su cui si può scaricare la rabbia che si accumula. Perciò ci sono spazi per “imprenditori” politici che trovano in queste dinamiche anche margine per costruire un consenso. Sono iniziative che fin quando intendono portare alla luce i problemi delle parti fragili della società sono legittime e opportune. Quando invece si tratta solo di speculare su queste condizioni di sofferenza, di marginalità e di creare ad arte guerre tra poveri, allora occorre da una parte esprimere una distanza da queste iniziative, dall’altra deve essere uno sprone per le istituzioni ad agire e affrontare quelle situazioni così acute che poi concentrano e fanno esplodere i problemi.
Insomma le istituzioni e la politica devono dare risposte a queste periferie che stanno ribollendo…
Le periferie sono sempre lontane dagli occhi e dal cuore. Spesso ce ne dimentichiamo, salvo quando si incendiano. Però l’Amministrazione non se ne può dimenticare, perché le periferie sono in realtà il cuore della città, dove vivono molti cittadini e dunque non deve essere un qualche cosa di straordinario. Questo spiega perché la prospettiva – che deriva dal Vangelo e che ha segnato profondamente la storia occidentale – di guardare chi è in una condizione di maggior fragilità è sempre un punto di vista per affrontare anche il bene comune e i problemi collettivi.
È ancora diffuso il pregiudizio e l’ostilità verso l’immigrato, il rom, lo straniero. È possibile che dopo 20 anni di immigrazione a Milano siamo ancora a questo punto?
Questa è una dinamica sociale molto nota che – ahimè – ogni volta si ripete. Quando si sta male, si è insoddisfatti, si soffre, le prospettive sembrano chiudersi, non si sa bene con chi prendersela. Oggi tra l’altro non ci sono più ideologie politiche in grado di tenere insieme e dare parola a questo tipo di disagio sociale. Allora in tali situazioni si riproduce la dinamica che conosciamo molto bene: nell’ultimo più ultimo che è l’immigrato, il rom, qualche volta il portatore di handicap, c’è una specie di traslazione per cui si colpisce lui per colpire qualcuno e si scarica la propria rabbia su chi è estraneo al gruppo o è ancora più debole di te. È una dinamica molto negativa e triste, studiata e ristudiata, nota nelle sue componenti. Anche questa va condannata, ma nello stesso tempo bisogna capire che è espressione di un disagio e di un malessere che colpisce gli aggressori, che non sono certamente giustificati per quello che fanno ma, nello stesso tempo, per intervenire bisogna capirne le cause.
Da tempo il cardinale Scola insiste sull’amicizia civica come una modalità per superare le paure e cercare di creare una buona convivenza. Secondo lei, come si può declinare a Milano?
Il “rito ambrosiano” è sempre stato un modello ad alta integrazione sociale e culturale, non ha mai fatto della disuguaglianza, del conflitto, dell’odio il proprio elemento caratteristico. Ci sono stati momenti in cui questi sono esplosi. Tuttavia Milano, quando ha dato il meglio di sé, lo ha fatto – usando questo termine di Scola – esprimendo amicizia civica. Utilizzando un altro termine, esprimendo un alto livello di integrazione sociale e culturale, ospitando la libera iniziativa, la capacità dei singoli, l’organizzazione delle imprese ma, nello stesso tempo, cercando di includere piuttosto che di escludere. Oggi occorre questa capacità di rilegatura che può avvenire solo in un clima di amicizia: l’amicizia civica è un presupposto perché questo tipo di dinamica possa avere luogo.
Dunque uno stimolo a tutti i corpi sociali ad avere un ruolo nella società cittadina…
Naturalmente, devono avere un ruolo, ma che sia attivo, fattivo e non retorico o addirittura di blocco dei processi di cambiamento, di innovazione e di trasformazione. In questa visione ambrosiana basata sulla capacità di fare economia e società, i corpi intermedi hanno sempre avuto un ruolo importante, ma devono essere in grado di realizzare alleanze che generano valore e in questo senso devono fare autocritica ed essere capaci di rinnovarsi.
Milano si sta preparando all’Expo. Come vede il percorso di avvicinamento e cosa può offrire alla città l’Esposizione universale?
Milano guarda a questo evento con interesse e proietta giustamente speranze, ha fatto un investimento. Ci sono molte luci in quello che si è cercato di fare in questi anni per arrivare all’appuntamento, ci sono ombre e non solo le varie tangenti che sono girate, ma anche le incertezze, i ritardi che si sono prodotti. Anche il tema dell’Expo rimane solo parzialmente declinato: a me sembra che tra i pochi soggetti che stanno provando anche a discutere e a riflettere proprio sul tema dell’Expo è la Diocesi, che ha organizzato nei vari Decanati una serie di iniziative anche di sensibilizzazione e di presentazione delle tematiche. Speriamo che l’Expo corrisponda a questa proiezione positiva che i milanesi hanno fatto. Ci si sarebbe potuti preparare e arrivare meglio, speriamo che poi tutto vada per il verso giusto.