Papa Francesco inaugura in questo viaggio in Terra Santa una nuova diplomazia che va oltre i protocolli politici e punta al cuore delle persone, convinto che la pace non è solo l’esito di trattati internazionali, ma una costruzione umana che si edifica giorno per giorno. È una diplomazia per la pace che ha bisogno di essere alimentata da grandi prospettive.
Per questo papa Francesco ha voluto accanto a sé in questo viaggio delicato e complesso i suoi due amici argentini, il rabbino Abraham Skorka e l’islamico Omar Abboud. Con loro ha attraversato i luoghi sacri e le sedi istituzionali delle due grandi religioni dell’ebraismo e dell’Islam. Davanti al Muro del Pianto c’è stato tra loro un lungo e commosso abbraccio: hanno così lanciato al mondo nel cuore di questo martoriato Medio Oriente un messaggio potente di amicizia e fraternità. Un abbraccio tra rappresentanti delle tre grandi religioni del Libro che si fa qui preludio e speranza dell’incontro di preghiera per la pace che tra alcuni giorni si terrà nella “casa” del Papa con i presidenti Shimon Peres e Abu Mazen.
Il messaggio ai musulmani
La giornata si è aperta sorseggiando un caffè con il Grand Mufti di Gerusalemme, Mohammed Hussein, nell’edificio del Gran Consiglio sulla spianata delle Moschee. Il Gran Mufti affronta con il Papa un discorso estremamente politico chiedendo al Santo Padre d’interessarsi degli oltre 5 mila prigionieri nelle carceri israeliane. «La pace non potrà esservi finché rimane l’occupazione», dice. Ai musulmani il Papa lancia un messaggio molto chiaro: «Rispettiamoci e amiamoci gli uni gli altri. Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio».
Poi la tappa al “Muro del Pianto” dove si compie il gesto più eloquente della nuova “diplomazia del cuore” di Papa Francesco: accompagnato dal rabbino Skorka e dal musulmano Abboud, il Papa ha sostato in preghiera silenziosa per qualche minuto, toccandolo con la mano destra. Al termine della preghiera, vi ha deposto una busta contenente un foglio con la preghiera del Padre Nostro in spagnolo, scritta personalmente. Subito dopo è il rabbino ad avvicinarsi al Muro. Anche lui lascia un biglietto, anche lui scrive in ebraico: «Padre Nostro, che sei nei cieli». È visibilmente commosso e con gli occhi lucidi si avvicina a Bergoglio e all’amico musulmano e si abbandona a un lungo abbraccio fraterno.
Mai più terrorismo
È molto importante che il Papa sia andato poi al Monte Herzl, perché per gli ebrei questa visita significa rendere omaggio al fondatore del sionismo. Accompagnato da Benjamin Netanyahu, Francesco compie un altro gesto cruciale in questa terra: si ferma davanti al memoriale delle vittime del terrorismo, luogo particolarmente caro a Israele. E qui pronuncia parole forti: «Il terrorismo è male all’origine e male nei risultati. Male all’origine perché viene dall’odio e male nei risultati perché non costruisce, ma distrugge. Vorrei che tutte le persone capiscano che il terrorismo non aiuta ed è fondamentalmente criminale. Io prego per tutte queste vittime e per tutte le vittime del terrorismo del mondo. Per favore non più terroristi. Il terrorismo è una strada senza fine».
Al memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem, il Papa non pronuncia un discorso, ma una meditazione. Ha la possibilità d’incontrare sei sopravvissuti allo sterminio e dice: «In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: “Adamo, dove sei?”. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio».
Il colloquio con il presidente Shimon Peres nel palazzo residenziale è all’insegna della più profonda cordialità. Seduti uno accanto all’altro e ripresi dalla telecamera, anche questa volta il Papa va oltre i protocolli diplomatici e parla al cuore. Shimon Peres gli dice: «Lei ha fantasia e ispirazione». E il Papa spontaneamente risponde: «Con la mia immaginazione e fantasia vorrei inventare una nuova Beatitudine che applico a me stesso in questo momento. “Beato colui che entra nella casa di un uomo saggio e buono”. Mi sento un uomo benedetto». Parole di affetto che sono state particolarmente gradite dal presidente Peres che risponde: «Grazie di vero cuore».
La pace è un invito a entrare in casa
Si chiude così una delle pagine più delicate di questo viaggio in Terra Santa. Non tutto è stato esente da dietrologie e polemiche. Oggi sul Jerusalem Post la visita del Papa campeggia sulla prima pagina dove però c’è anche chi chiede alla Santa Sede l’apertura degli archivi vaticani relativi al periodo dell’Olocausto. In Israele ha fatto poi discutere la tappa del Papa al Muro di Betlemme. Papa Francesco ha comunque scelto di parlare poco e compiere molti gesti. Lo ha sempre fatto. Lo confida Omar Abboud, il suo amico musulmano: «Mentre le parole in qualche modo forzano le riflessioni, i gesti, i simboli e i segni sono qualcosa che agiscono internamente nelle persone. Credo che in definitiva la pace non dipenda da un organismo amministrativo o dalle Nazioni Unite. La pace è una costruzione umana. È un invito a entrare nella propria casa».